“Guidare come un pazzo a fari spenti nella notte…”, un suggerimento da non cogliere, se non come citazione, come fraseggio di Emozioni, brano indimenticabile di Lucio Battisti, frutto della collaborazione con Giulio Rapetti, più noto come Mogol, cantore di parole. Una sollecitazione, quella dei fari spenti nella notte, figlia di logiche inopportune, amarognole, di chi non ama la vita, disposto a giocarsela: per chi non ricordasse, la frase si completa così, “per sapere se poi è così difficile morire”.
Poco noto è che i fari nella notte, rigorosamente spenti, sono uno spunto che viene da lontano e che Mogol ha fatto suo, per metterla in poesia. Celebra infatti Tazio Nuvolari, il Mantovano volante, che l’azzardo dei fari spenti nella notte mise in atto per aggiudicarsi la Mille Miglia del 1930.
Un uomo leggendario, il Nivola, anche per quell’episodio, a maggior ragione in uno sport che ha perso da anni i connotati del passato. L’automobilismo oggi rincorre la sola tecnologia, esalta il mezzo meccanico e i suoi manutentori, non già l’uomo, inteso come pilota, salvo i pochissimi che sul bagnato fanno la differenza. Di “manici” oggi non parla più nessuno. Nuvolari lo era quanto Varzi, e non per caso i due diedero vita a duelli epici, memorabili.
Senza dissennatezze, in regime di rischio calcolato. Nuvolari, nella logica di chi ha sempre vissuto le corse in automobile popolate di eroi destinati a morir giovani, era destinato a perire in un incidente. C’era solo da capire quando. E invece si è spento nel suo letto, sessantunenne, un anno dopo un ictus che ne aveva compromesso la mobilità. Corse per trenta stagioni, dal 1920 al 1950, alternando le gare in moto a quelle in auto. Allora era lecito, il pionierismo lo consentiva. A pochissimi.
La Mille Miglia, per chi non ne abbia cognizione, era un’invenzione legata strettamente al campanile, da Brescia a Brescia con giro di boa a Roma. Era una gara di gran fondo su strade aperte al traffico, per vetture di serie, allora dette “di costruzione corrente”. Brescia rivendicava il ruolo di culla dello sport automobilistico, ben decisa a non dipendere più da Milano, dove aveva sede l’Automobil Club. Le diedero vita, nel 1926, Giovanni Canestrini, trentino, ingegnere, milanese di adozione, grande giornalista di motori in forza a La Gazzetta dello Sport, unitamente ai “tre moschettieri”, i bresciani Franco Mazzotti, Aymo Maggi, Renzo Castagneto.
Alla Mille Miglia del 1930 Giovan Battista Guidotti gareggiò in coppia con Tazio Nuvolari al volante di un’Alfa 1750 con compressore. Partirono senza affanni, prima di accorgersi che occorreva non lasciare margine agli avversari. Nuvolari cominciò a darci dentro tra Bologna e Firenze, concludendo la rimonta al controllo di Firenze: stesso tempo di Varzi. A un minuto e mezzo seguiva Campari. A gara ripresa, ad Ancona, tutto invariato: tempo identico a quello di Varzi. A Bologna, riscontro successivo, la condotta aggressiva di Nuvolari fu premiata: quattro minuti di vantaggio su Varzi, evidentemente in difficoltà con un mezzo meno performante del previsto. A quel punto, con un distacco attentamente da monitorare, Nuvolari, spossato, cedette il volante a Guidotti. L’idea era di procedere regolare, senza forzare il mezzo. Il rilevamento di Vicenza portò notizie confortanti, Varzi aveva recuperato solo un minuto e dieci secondi, lo si poteva tenere a bada, anche se quel satanasso non mollava mai.
Tornò al volante Nuvolari e riportò il margine a quattro minuti.
L’imprevisto successe a Primolano, ormai era notte, quando annotarono un concorrente che li precedeva. D’acchito fu giudicato un infiltrato, ma ben presto capirono che chi li precedeva era proprio Varzi. A Verona il distacco era minimo, e qui proprio Guidotti ebbe un colpo di genio. Sollecitò Nuvolari dicendogli “dai, spegniamo i fari”. L’altro annuì e Guidotti girò la manopola dei fari. Procedevano a centocinquanta all’ora, il buio era fitto, ci voleva un gran fegato visto che le strade le potevano solo intuire. Il trucco funzionò, Varzi credette di avere partita vinta, non vedeva profilarsi alcuna insidia e dopo pochi chilometri venne superato di slancio. Ebbe la percezione del vento dei rivali che lo affiancavano e lo superavano, non si oppose e diede strada, da gentiluomo del volante. Nuvolari vinse quell’edizine all’incredibile media di oltre cento chilometri orari.
Ci vollero tre anni a Varzi per restituire il saluto a Guidotti. Da Nuvolari se lo poteva aspettare, da un vecchio amico gli sembrò un torto insopportabile. Ma Varzi ammise che l’avrebbe fatto lui stesso, a parti invertite, se solo gli fosse venuto in mente.
Sergio Meda