Lo scorso venerdì 20 settembre, il profilo Instagram di “Cronache di Spogliatoio” ha riportato una dichiarazione del numero uno cosentino Eugenio Guarascio che, dopo aver annunciato di essere in lizza per la presidenza della Lega B, si è lasciato andare ad un proclama che ha fatto riflettere i più:
«Nei momenti complicati può servire un’intuizione innovativa e sto pensando a una Champions League di Serie B, che coinvolga le varie aree dei Paesi europei: una formula da studiare insieme e proporre».
Nonostante la formula sia ancora tutta da decidere, la platea, a giudicare dal tenore dei commenti sotto il post, pare apprezzare. In un’epoca in cui ogni appassionato peregrina alla ricerca di luoghi nei quali si possa tornare a respirare l’atmosfera romantica di un calcio più verace non ci stupiremmo se qualcuno volesse andare fino in fondo alla questione, magari riesumando da una polverosa cassa addossata ad una parete della cantina una coppa spesso disconosciuta, rinnegata, considerata come una pecora nera in famiglia ma, indubbiamente, ammantata da un certa curiosità antropologica, foriera di un irresistibile fascino discreto per dirla alla Luis Buñuel. Una coppa che di borghese, però, aveva forse poco o nulla: la Mitropa Cup.
L’antenata delle Coppe europee
Con la fine del XIX secolo, il football si è ormai impossessato di tutto il Vecchio continente e nel cuore dei più audaci prende a bruciare l’ambizione di giocare sfide internazionali. Sulle prime si organizzano incontri amichevoli tra squadre di nazioni vicine; nel 1897, però, tutto cambia. A Vienna viene presentata a stampa e appassionati la Challenge Cup, trofeo dedicato alle compagini provenienti da ogni angolo del multietnico Impero Austro-Ungarico e che vede il proprio capolinea nel 1911. Dopo la fine della prima guerra mondiale, si comincia a ipotizzare una competizione per i club dell’Europa centrale, allora gli alfieri del calcio nel continente. Il 1924 coincide in Austria con l’introduzione del professionismo nel calcio, con Ungheria e Cecoslovacchia pronti a emularla rispettivamente uno e due anni più tardi.
Il calcio va, dunque, alzando il proprio livello agonistico ma allo stesso tempo i club devono far fronte a nuove spese e, di conseguenza, cercare introiti. Una situazione che oggi non fatichiamo certo a comprendere. Il 17 luglio 1927 a Venezia, Hugo Meisl, calciatore e allenatore austriaco, si mette alla testa di un comitato per promuovere la formazione della Coppa Internazionale, dedicata alle selezioni nazionali, e della Mitropa Cup, riservata invece ai club. Il 14 agosto, ecco disputarsi i primi incontri di quest’ultima. Il tabellone di questa prima storica edizione vede due squadre austriache, due ungheresi e altrettante cecoslovacche e jugoslave.
Nel corso dei decenni il formato subisce diversi cambiamenti, cambiano anche numero di squadre e nazioni aventi accesso alla competizione. Negli anni ’30 fanno il loro esordio in Mitropa Cup anche Italia, Svizzera e Romania. Fino al deflagrare della seconda guerra mondiale il torneo gode di ottima salute: le migliori squadre del continente ambiscono a strappare il pass qualificazione, l’attenzione di stampa e tifosi è sempre ai massimi livelli. Il secondo dopoguerra, però, è periodo molto travagliato anche per le manifestazioni sportive: la Mitropa Cup va in scena solo nel 1951, cambiando per l’occasione anche denominazione, Zentropa, salvo poi riconciliarsi con la tradizione quattro anni più tardi. La nascita della Coppa dei Campioni e della Coppa delle Fiere (1955), a cui va sommata l’introduzione nel 1960 della Coppa delle Coppe, fanno perdere progressivamente valore e risonanza mediatica alla storica competizione che si vede costretta ad accogliere squadre di secondo piano visto l’improvviso periodo di magra.
Dal 1979, nella speranza di risollevare le sorti di un torneo disputato ormai nel totale disinteresse di giornali e pubblico, i vertici optano per dare spazio ai vincitori dei campionati cadetti. Il canto del cigno è solo rimandato di poco più di un decennio: nel 1992 si disputa l’ultima edizione di un trofeo ormai anacronistico. La Storia, come al solito, non è mai banale: ad aggiudicarsi l’ultima edizione della Mitropa Cup sono gli jugoslavi del Fk Borac Banja Luka. Non serve aggiungere altro.
Orgoglio Casciavìt
All’inizio degli anni Ottanta Europa per i colori rossoneri non può che far rima con Mitropa Cup edizione 1981-82. Per i tifosi avversari motivo di derisione; per i milanisti, invece, un raggio di sole e un po’ di colore in una stagione grigia e dall’epilogo dannatamente amaro. Inutile vivere questa coppa con imbarazzo e tentare una rimozione freudiana.
Il Diavolo di Radice ha il suo battesimo in Mitropa Cup il 20 ottobre a Vitkovice, periferia cecoslovacca di Ostrava, in una rigida serata autunnale, seimila i tifosi ad affollare le tribune del Mestsky Stadion. Padroni di casa allo storico debutto in competizioni europee. All’iniziale vantaggio di Dustin Antonelli fa eco alla mezz’ora Kusnir. In zona Cesarini, poi, la beffa: rigore per il Vitkovice e rete di Gajdusek. Il Milan si riscatta il 4 novembre, in un San Siro desolatamente vuoto: 4200 spettatori avvolti da banchi di nebbia in un più o meno suggestivo quadretto padano. Avversari per l’occasione i non certo irresistibili magiari dell’Haladas. Bastano quindici minuti e Collovati la sblocca con un preciso colpo di testa. Gli ungheresi si segnalano solo con una fiammata di Garics in avvio di secondo tempo: palla che sibila sopra la traversa di Piotti. Il Milan la chiude con Incocciati al ’78. L’ultima notte europea dell’anno 1981 è in programma il 25 novembre nella cittadina oggi croata di Osijek sotto una pioggia battente. Il campo dello stadio Gradski Vrt si tramuta presto in un fangoso acquitrino in grado di far invidia alla palude di Shrek. I rossoneri si battono contro un avversario all’esordio assoluto in competizione europee ma buttano via la vittoria. La sblocca Novellino al ’30 della ripresa, la pareggia Sormaz al fotofinish.
Dopo il lungo inverno, la Mitropa Cup riprende per il Milan mercoledì 7 aprile 1982. I rossoneri, passati nel frattempo sotto la guida di Galbiati, migrano verso Szombathely, paesello ungherese a due passi dalla cortina di ferro con l’Austria. L’Haladas, squadra nata su iniziativa dei ferrovieri locali, adotta per l’occasione, infatti, il colore verde per ricordare i locomotori dipinti proprio di quella tonalità. Poco avvezzi ai palcoscenici internazionali, solo un gettone in Coppa delle Coppe 1975-76, l’arrivo in città del Milan provoca il tutto esaurito al Rohonci Ut. Più di qualcuno non riesce a varcare i tornelli. La partita è frizzante, decisa da una rete di Battistini nella prima frazione di gioco. Due settimane più tardi al Meazza il Milan ospita l’Osijek. Clima primaverile, gradevole e diecimila spettatori. La pioggia e il fango della gara di andata sono soltanto un brutto ricordo. A dieci minuti dal fischio d’inizio, il risultato è già sul 2 a 0 per i padroni di casa, reti Antonelli e Baresi dal dischetto. Il gol di Rackla in avvio di secondo tempo serve solo per gli almanacchi e delizia il palato del pubblico: fucilata da distanza siderale a levare le ragnatele all’incrocio.
Mercoledì 12 maggio 1982, San Siro, il Diavolo deve vedersela con l’imbattuto Vitkovice, approdato sulle sponde rossonere del naviglio dopo un’odissea in pullman durata ventinove ore. Gli sfidanti hanno in dote un punto in più rispetto ai rossoneri. Il Milan deve giocoforza vincere per aggiudicarsi il trofeo. La possibilità di sollevare un trofeo e una serata dal clima estivo fanno sciamare in direzione piazzale Axum quindicimila spettatori, il tutto a quattro giorni dalla trasferta di Cesena, il dentro o fuori decisivo per la permanenza in serie A. Quella sera, il Milan cancella gli avversari dal campo. Vantaggio firmato Baresi su rigore al ’12 con la solita griffe: mina sotto la traversa. Cambiaghi, promettente canterano rossonero, firma il raddoppio ad inizio seconda frazione di gioco con un capolavoro. Il tris è del rientrante squalo Joe Jordan, glaciale nel presentarsi sul dischetto.
Il Milan mette così in bacheca la prima ed unica Mitropa Cup della sua Storia, “Resteremo in Serie A” gridano a pieni polmoni i tifosi per esorcizzare ogni paura verso il futuro prossimo. All’epoca, pareva proprio che il Diavolo avesse “un grande avvenire dietro alle spalle” per dirla alla Vittorio Gassman, esattamente in linea con le sorti di quella competizione nella quale aveva appena trionfato.
E, purtroppo, le Moire non stavano esattamente per smentire questa massima infelice.