Avevo 20 anni quando il Genoa vinse ad Alfield road, allora scrivevo tantissimo di tantissimo, troppo, pagato come sempre in vita mia, escluso due mesi a Il Giornale, nell’estate del 2008, a cottimo.
Sono sempre impazzito per le provinciali, le non grandi, dai 15 anni, da quando il Lecce vinse all’Olimpico con la Roma ho sempre tifato, in Italia, contro la Juventus, contro il parere di papà, che appunto era juventino e sino ad allora lo ero stato anch’io per compiacerlo ma anche, forse, perchè affascinato. Ho sempre avuto un rapporto complicato con lui, ansia e depressione reciproca, ereditata da lui e all’epoca anche alimentata, e allora la mia ribellione a quel tipo di vita, studio, all’epoca poi la redazione di Carlino Reggio da abusivo e il ritorno a casa, dove da agricoltura e allevamento di mucche si era passati a incollare scatole a domicilio, per la famiglia Cantagalli, alla Arti Grafiche reggiane, era un contesto che mi andava stretto.
Ecco, alle coppe mi scatenavo, fin da bambino, Stella Rossa-Verona, a 15 anni impazzivo in salotto, in quella bella casa in campagna. La Sampdoria, il Napoli, poi la Fiorentina, la Roma.
Sono sempre impazzito per le provinciali, le non grandi, dai 15 anni, da quando il Lecce vinse all’Olimpico con la Roma ho sempre tifato, in Italia, contro la Juventus, contro il parere di papà, che appunto era juventino e sino ad allora lo ero stato anch’io per compiacerlo ma anche, forse, perchè affascinato. Ho sempre avuto un rapporto complicato con lui, ansia e depressione reciproca, ereditata da lui e all’epoca anche alimentata, e allora la mia ribellione a quel tipo di vita, studio, all’epoca poi la redazione di Carlino Reggio da abusivo e il ritorno a casa, dove da agricoltura e allevamento di mucche si era passati a incollare scatole a domicilio, per la famiglia Cantagalli, alla Arti Grafiche reggiane, era un contesto che mi andava stretto.
Ecco, alle coppe mi scatenavo, fin da bambino, Stella Rossa-Verona, a 15 anni impazzivo in salotto, in quella bella casa in campagna. La Sampdoria, il Napoli, poi la Fiorentina, la Roma.
Ma il Torino e prima il Genoa, quell’impresa, amo i gregari, il portiere Braglia, neanche vado a rivedere la formazione del grifo.
Penso a Lino Giaquinto, Pasquale, all’anagrafe, redattore allo sport di Avvenire scomparso dopo una trasferta a Valencia.
Il ricordo dell’Atalanta è troppo fresco, quella sera ero al ristorante, a mangiare i bolliti, a primavera ero tornato 89 chili, in estate ero sceso a 69,5.
Ho voglia di Bologna, di un gol del Bologna, quest’anno non sono ancora stato a Casteldebole, ero sabato al Dall’Ara, l’accredito era arrivato, ho raccontato il contesto e la nuova hospitality, alla fine, e poi l’ufficiale dell’antidoping, non il medico.
In Emilia, abbiamo voglia di una sera da Bologna, da Piacenza, come recita Aemilia, di Francesco Guccini. Penso a Savi, il custode 70enne che gira con un macchinino unico e mi chiama Ciccio da oltre un quarto di secolo, ma ci sono mesi in cui non vado mai.
Abbiamo voglia di esplodere, di esaltarci, in Emilia, di una sera da caro, vecchio Parma, da quelle meraviglie in coppa.
E vorrei che esultassero anche a Modena, a Ferrara, in Romagna.
Forsa Bologna, sento quando vado allo stadio Renato dall’Ara. Penso a Gianni Nascetti, segreterio al Guerin sportivo, per anni firma de Il Mattino di Napoli, da Bologna, appunto, quante partite viste accanto, lui che annotava gli ammoniti e li chiedeva urlando.
Il Bologna.
Ma vorrei che per il Bologna esultassero nelle grandi tifoserie per ora lontane dall’Europa, Palermo e Catania, Cagliari e Bari, Lecce e Fiorentina, Genoa e Verona, perdonatemi per chi sacrifico.
Vorrei che il Bologna vincesse e fosse festeggiato in tutti i paesi, dell’hinterland.
Ora e sempre un monumento a Joey Saputo, proprietario canadese gentiluomo, e a Giovanni Sartori, talentscout unico e ancora più garbato.
Immagino Marco Nosotti commuoversi per una rete e penso a grandi e piccoli del Bologna del passato.
Vorrei conoscere Zinetti e Renato Sali, Backlechner e la famiglia Roversi, Cresci e Marronaro, ovviamente intervistarli.
Petroniani, gente perbene, come Roberto Beccantini.
Penso a Lino Giaquinto, Pasquale, all’anagrafe, redattore allo sport di Avvenire scomparso dopo una trasferta a Valencia.
Il ricordo dell’Atalanta è troppo fresco, quella sera ero al ristorante, a mangiare i bolliti, a primavera ero tornato 89 chili, in estate ero sceso a 69,5.
Ho voglia di Bologna, di un gol del Bologna, quest’anno non sono ancora stato a Casteldebole, ero sabato al Dall’Ara, l’accredito era arrivato, ho raccontato il contesto e la nuova hospitality, alla fine, e poi l’ufficiale dell’antidoping, non il medico.
In Emilia, abbiamo voglia di una sera da Bologna, da Piacenza, come recita Aemilia, di Francesco Guccini. Penso a Savi, il custode 70enne che gira con un macchinino unico e mi chiama Ciccio da oltre un quarto di secolo, ma ci sono mesi in cui non vado mai.
Abbiamo voglia di esplodere, di esaltarci, in Emilia, di una sera da caro, vecchio Parma, da quelle meraviglie in coppa.
E vorrei che esultassero anche a Modena, a Ferrara, in Romagna.
Forsa Bologna, sento quando vado allo stadio Renato dall’Ara. Penso a Gianni Nascetti, segreterio al Guerin sportivo, per anni firma de Il Mattino di Napoli, da Bologna, appunto, quante partite viste accanto, lui che annotava gli ammoniti e li chiedeva urlando.
Il Bologna.
Ma vorrei che per il Bologna esultassero nelle grandi tifoserie per ora lontane dall’Europa, Palermo e Catania, Cagliari e Bari, Lecce e Fiorentina, Genoa e Verona, perdonatemi per chi sacrifico.
Vorrei che il Bologna vincesse e fosse festeggiato in tutti i paesi, dell’hinterland.
Ora e sempre un monumento a Joey Saputo, proprietario canadese gentiluomo, e a Giovanni Sartori, talentscout unico e ancora più garbato.
Immagino Marco Nosotti commuoversi per una rete e penso a grandi e piccoli del Bologna del passato.
Vorrei conoscere Zinetti e Renato Sali, Backlechner e la famiglia Roversi, Cresci e Marronaro, ovviamente intervistarli.
Petroniani, gente perbene, come Roberto Beccantini.