L’addio di Lea Pericoli è uno di quelli che fa male al cuore per chi ama lo sport. La fuoriclasse milanese si è spenta a 89 anni dopo aver vissuto una vita con il sorriso stampato sul volto, sempre pronta a combattere battaglie per l’epoca impensabili. Al suo fianco c’è sempre stata Silvana Lazzarino, faccia di una stessa medaglia, un distintivo elegante, ma al tempo stesso audace, simbolo di un tennis dimenticato ormai negli archivi polverosi delle biblioteche.
Guardando le immagini che le raffigurano sui campi di Roma o di Parigi, in molti potrebbero pensare a uno sport elitario, chiuso su sé stesso e sui ricchi praticanti che, a cavallo fra gli Anni Cinquanta e Sessanta potevano permetterselo, eppure Lea e Silvana erano probabilmente un passo avanti a tutti, anche alle colleghe che all’inizio dell’Era Open decisero di ribellarsi e far valere i propri diritti.
Ben prima di Billie Jean King e della sua “battaglia dei sessi” combattuta contro Bobby Riggs, Lea e Silvana divennero il prototipo di donne emancipate, costrette a lottare con “padri padroni” come Filippo Pericoli, imprenditore milanese trapiantato in epoca coloniale ad Addis Abeba e in grado di imporre alla figlia di interrompere la brillante carriera a causa di un gonnellino eccessivamente esposto in quel di Wimbledon.
Silvana Lazzarino e Lea Pericoli sui campi degli Internazionali d’Italia di Roma © Istituto Luce
In un’epoca dove la donna era ancora considerata un “soggetto” da proteggere, da nascondere, dea del focolare e soprattutto destinata a diventare moglie fedele e madre ammirevole, Lea e Silvana rappresentano una fonte di novità, con quelle loro acconciature sempre ben curate e questi look così audaci da attirare addirittura lo stilista inglese Ted Tinling.
Poco importa se è necessario giocare a Wimbledon con culotte e sottoveste rosa quando ancora oggi è severamente vietato scendere sull’erba inglese con abiti che si differenzino dal bianco, oppure presentarsi con gonnellini di visone, penne di struzzo oppure vestini d’oro con mutandine di brillanti. Ciò che conta è portare in campo stile, sentendosi sempre a proprio agio con sé stesse, contrastando al tempo stesso i cliché di una società ancora bigotta e arretrata.
Se i completi indossati da Lea Pericoli e Silvana Lazzarino sono oggi esposti al Victoria & Albert Museum di Londra, un motivo ci sarà, perché le due tenniste azzurre hanno saputo utilizzare la propria bellezza oltre l’apparenza fisica che attirava su di loro tanti complimenti e altrettante critiche. Perché quella bellezza poteva diventare un’arma per far sentire la propria voce e far valere i propri diritti.
Lea e Silvana non sono state però soltanto grandi amiche, ma anche due figure complementari, l’una cresciuta in college di suore irlandesi in Kenya, l’altra costretta a imparare a giocare a tennis palleggiando contro le Mura Aureliane. L’una milanese d’origine e sempre pronta a colpire per le proprie acconciature; l’altra più spartana e minuta, tanto da ottenere all’estero il soprannome di “Minnie”.
Una coppia esplosiva, che sapeva unire la capacità di palleggiare da fondo campo di Lea e la rapidità e naturalezza sotto rete di Silvana, creando così un doppio quasi imbattibile, capace di aggiudicarsi per tre volte il torneo di Monte Carlo e arrivare per cinque volte in finale agli Internazionali di Roma senza mai riuscire a vincere. Nonostante ciò, quando al Foro Italico arrivavano Lea e Silvana, gli spalti si riempivano e il pubblico della “Dolce Vita” non poteva perdersi un loro scambio.
Fra i punti più alti della loro carriera non vanno dimenticati una semifinale al Roland Garros e un quarto di finale a Wimbledon in un’epoca in cui partecipare a tornei oltreoceano come Australian Open o U.S. Open era pura utopia. Eppure entrambe hanno vissuto una carriera da singolarista parallela con Silvana che si è aggiudicata l’edizione 1954 della kermesse di Monte Carlo raggiungendo da numero 4 del seeding le semifinali del Roland Garros, un risultato nel Principato ripetuto da Lea nel 1963.
Amiche, ma a volte anche avversarie in campo, più volte si sono trovate l’una opposta all’altra lungo una rete, come nel 1960 quando Lea riuscì a vincere i prestigiosi Internazionali di Svezia a Båstad battendo Silvana per 6-3 6-4, un risultato che si ripete due anni dopo quando Pericoli per 10-8, 3-6, 6-1 la finale degli Internazionali del Marocco a Casablanca. Ma nella loro lunga carriera c’è spazio anche per un’affermazione della romana che nel 1958 si era imposta ai Campionati Internazionali di Sicilia a Messina per 6-2 6-4.
Due caratteri forti, per molti aspetti complementari, ma che hanno permesso al tennis e più in generale alla società di scoprire come essere donna non significasse per forza rappresentare il “sesso debole”, ma piuttosto di valere quanto i colleghi maschi. Era ora che Lea se n’è andata, chissà come sarà per Silvana, dopo aver trascorso una vita in cui al fianco di cognome Lazzarino non poteva esserci il termine Pericoli.