Combattere la violenza nello sport attraverso l’ascolto: è questo l’obiettivo dell’Associazione “ChangeTheGame” che, in collaborazione con la Fondazione Snaitech, interviene su un fenomeno troppo sottovalutato in Italia. L’iniziativa ha coinvolto l’Università La Sapienza di Roma con uno sportello di “counseling psicologico” in grado di sostenere chi deve affrontare abusi e atti di ferocia nell’ambito agonistico oltre a creare percorsi virtuosi per creare un ambiente sano.
“Il nostro obiettivo non è solo denunciare quanto accaduto, ma dare ai ragazzi una risposta costruendo percorsi virtuosi per i giovani – spiega Daniela Simonetti, presidente di ChangeTheGame -. L’idea è nata da uno studio su 1500 minori in tutta Italia che ha mostrato come 4 ragazzi su 10 abbiano vissuto una forma di violenza in ambito sportivo. Dati angoscianti e preoccupanti che hanno spinto l’Università a promuovere questo sportello insieme a noi e, grazie a un accordo con la Fondazione Snitech, abbiamo trovato i fondi necessari per concretizzarlo”.
Proprio da quello studio è emerso come la tipologia di violenze sia purtroppo variegata e colpisca a vario titolo gli atleti di ogni specialità, mostrando soprattutto come in Italia manchi purtroppo ancora quella cultura del rispetto per distinguere atteggiamenti positivi da quelli dannosi. “Non abbiamo voluto stilare una classifica perché ogni abuso ha una sua specificità, inoltre le violenze non vanno calcolate sulla base di numeri assoluti, ma sull’impatto che possono avere nella singola specialità, ponderandolo anche in base al numero di tesserati. L’abuso sessuale trova il massimo della propria diffusione negli sport a prevalenza adolescenziale e femminile, quindi il volley e il tennis – sottolinea Simonetti -. L’abuso emotivo ha un’altra casistica che cresce in base all’agonismo perché si è condannati a vincere, le pressioni aumentano e quindi si possono configurare situazioni di abuso emotivo. L’abuso fisico è invece più frequente negli sport di squadra come il rugby e infine ci sono i casi di negligenza che riguardano l’omesso soccorso o l’insensibilità in alcune esigenze dei bambini che riguardano il diritto alla sicurezza dello sport e sono più frequenti in sedi periferiche dove ci sono meno fondi e meno possibilità di avere degli staff più formati e professionali”.
Servirà quindi fare prevenzione a partire da chi si trova attorno agli atleti, dagli allenatori ai dirigenti passando per persone di famiglia e colleghi. Per farlo sarà necessario ampliare la conoscenza dei pericoli che alcuni atteggiamenti possono causare: “Al momento nel nostro paese c’è poca comprensione, ma soprattutto non c’è formazione sulla violenza da un punto di vista psicologico o fisico oppure sessuale, insomma non si sa bene quali siano i comportamenti accettabili e quali no – aggiunge Giulia Parone, membro di “ChangeTheGame” -. Serve che ci sia un processo di sensibilizzazione affinché si inizi a capire cosa non si debba più vedere nel mondo dello sport”.