“Il futuro del golf italiano sarà radioso, i soldi pubblici non andranno al rifacimento del Marco Simone: stiamo costruendo un ponte perché il golf in Italia diventi quello che è nel mondo”. E’ giusto partire da queste dichiarazioni dello stratega dello sport italiano, Franco Chimenti per spiegare l’ultima vittoria della Federgolf.E cioé, l’accordo di 11 anni con il colosso manageriale Infront Sports & Media, con un garantito di 40 milioni di euro per gestire 129 eventi, fra cui spicca la Ryder Cup 2022 al “Marco Simone” Roma ma anche 11 Open d’Italia, da 7 milioni di premi l’uno, 88 gare dell’Italian Pro Tour e 30 eventi del percorso “Road to Roma 2022”.
Il presidente federale, vice presidente del Coni e capo della Coni Servizi, oltre che primo sponsor di Giovanni Malagò al comando dello sport italiano ha cercato un alleato nella storica guerra contro l’antico problema del suo sport: la popolarità. Che non vuol dire campi pubblici, o almeno non vuol dire solo campi pubblici, che la Fig ha promesso di edificare utilizzando zone dismesse e inutilizzate. Ma vuol dire abbattere tabù culturali radicali con l’essenza stessa, nel nostro paese, della parola golf. E cioè, èlite, etichetta, scarpe lucide anche passeggiando nel fango, pantaloni dalle pieghe sempre marcate, ombrellini-seggiolini, cappellini giusti, acconciature giuste, parlate giuste, gente giusta, paradisi di verde e silenzio protetti dal recinto di proprietà di fantasmagorica bellezza. In una parola: circoli esclusivi, con tanto di tessera salata, per pochi eletti che si conoscono per discendenza, tutti simili, lontani dalla realtà di tutti i giorni, dalla massa. Una situazione dalla quale è assolutamente impossibile “Generare nuovi confini, creare una base diversa dello sport, e campioni come lo sci con Thoeni e Tomba, avere un’attenzione diversa da chi pratica questo sport”. Come recita sempre Chimenti, vulcanico, esuberante, colorito, anche eccessivo, ma sempre lucido. E, soprattutto, fortunatissimo, in tutte le sue scelte.
Chimenti va ascoltato sempre fino in fondo, perché dice delle grandi verità e, alla nostra domanda – l’unica della conferenza stampa di Roma con cui si ratifica l’accordo con Infront! -, risponde anche: “Dobbiamo creare un’inversione di tendenza nei circoli, soprattutto, dobbiamo costituire una mentalità diversa. Cominciamo già dal primo Open d’Italia ad ottobre che entra nelle World Series, un Open che, dal montepremi di 1,5 milioni di dollari della nostra tradizione, passa a 7, mutando gli ordini di grandezza”. Di tutto, a cominciare dai partecipanti, aggiungiamo noi. Per accompagnarci gradualmente a quell’evento incredibilmente entusiasmante, maestoso, e popolare, che è la Ryder Cup. Il più grande che il nostro golf abbia mai organizzato e che chissà quando e se organizzerà ancora. Un evento di cui in Italia non si ha coscienza perché pochissimi l’hanno davvero toccato con mano, ci si sono immersi, vivendo quella magica atmosfera che supera le emozioni anche di un campionato del mondo di calcio per quanto è aperto e vivo, non ristretto in un rettangolo come uno stadio.
Certo, a fronte dei 65 milioni di persone che giocano a golf nel mondo (più di qualsiasi altro sport), a fronte dei 400 mila iscritti ai circoli di Madrid, i tesserati italiani devono assolutamente crescere, dai 91 mila di oggi, per arrivare fors’anche ai 160mila cui si punta nel 2027, e bisogna lavorare in tutti i settori, salvaguardo l’ambiente. Certo, il golf dovrà anche entrare nella scuola. Ma il problema vero sono e restano i circoli perché i campi in Italia ci sono, ma occorre abbattere non solo in odo figurato, ma in maniera concreta, quelli che oggi sono dei recinti per pochi eletti ed aprire il golf a un bacino di utenti enormemente più vasto, per poter poi trarre la qualità dalla quantità, ed arrivare quindi ai nuovi campioni. Strada facendo, l’Italia dovrà finalmente agganciarsi al boom turistico golfistico di Spagna e Portogallo, ponendoci anche su questo tema la più semplice delle domande: perché loro sì e noi no? La risposta è già nota a tutti e sta nella solita espressione “fare sistema”, che è più bella dell’orrido “tanta roba”, ma risulta ugualmente esplicativa. Fare sistema vuol dire lavorare tutti insieme per raggiungere un obiettivo comune, reclutando gli specialisti, i migliori, non i soliti noti, i parenti, i raccomandati, ma molti di quelli capaci che oggi sono “off-limits” e che risultano antipatici perché hanno carisma e dicono qualche “no”. Perché le eccellenze italiane nel mondo non sono i famosi “brand” – formaggi, vini, abiti di cui ci riempiano continuamente la bocca – ma proprio i “cervelli” che, chissà perché, fuggono dal nostro bellissimo paese e ridiventano eccellenze e “fanno sistema” altrove.
Da noi, tutto diventa politica e favori. Anche un evento importante come la Ryder Cup è entrato in questo tritacarne e soltanto in extremis ha rivisto la luce, ma i dati numerici e i benefici che derivano dall’organizzazione di una manifestazione come la Ryder cup dovevano essere impressi prima e meglio, spiegati, snocciolati, rispiegati e risnocciolati. E poi sbandierati su qualsiasi organo di informazione presente nel nostro paese. Perché non sono un “bluff”, non sono a rischio, non sono ipotesi, sono realtà testimoniate da cifre come 513,4 milioni di impatto economico e di 417,3 milioni di eredità dell’evento. Non solo fredde “slide” di una qualsiasi riunione di lavoro, ma molto di più, e perciò andrebbero suggerite, discusse e divulgate, utilizzando tutti gli svariati sistemi mediatici del mondo moderno in uso dagli specialisti del settore. Ancora e ancora. Perciò, slogan come: “Il golf è lo sport dove non c‘è l’arbitro, ma tu sei l’arbitro di te stesso, speriamo di fare degli italiani migliori per il futuro”, sono esaltanti solo se convinte e condivise dai fatti. Dall’esempio. Altrimenti tutto resta nell’ambito delle parole, della facciata, proprio come avviene nei nostri bellissimi circoli, che però non producono frutti. E cioè quantità di praticanti e qualità di campioni. Proprio come succede al nostro bellissimo paese.
Vincenzo Martucci