La rava e la fava. Le lavagne e le lagne. L’intensità e lo spazio. Il pressing e le marcature preventive. Poi, all’85’, cross di Cabal e autogol di Gila. Per cui: Juventus-Lazio 1-0. E allora rifaccio il cappello, almeno quello. Madama era decimata, l’Aquila no (Lazzari a parte), ma già dal 24’ era rimasta in dieci: rosso varista a Romagnoli, per fallo da ultimo uomo su Kalulu, smarcato da Vlahovic (mi è piaciuto).
Come non ricordare che, sotto di un uomo, la squadra di Thiago aveva ribaltato il Lipsia, a Lipsia, da 1-2 a 3-2? Infatti: chi se lo scorda. Viceversa, sopra di uno, e per giunta in casa, stava per essere imprigionata da un avversario plasmato da Baroni con acume e personalità.
La disparità numerica ha spinto il copione verso il senso unico; e il senso unico, verso la più barbosa delle partite barbose. Specialmente nel primo tempo, solcato – sul piano delle occasioni – dalla miseria di un blitz di Thuram e una zampata di Gatti. Tiri nello specchio, zero.
L’allenatore serve più alla fase difensiva che non alla manovra d’attacco: dalla cintola in su, urgono dribbling, audacia, rifiniture al bacio. In parole povere: giocatori. Che Madama non aveva. Era tutto un ribollir di passaggetti, da Yildiz a capitan Cambiaso, da Locatelli a Thuram. La Lazio se ne stava lì, alle corde, rannicchiata ma non imbavagliata. Alla distanza, ha pagato. Hanno ceduto i pilastri – Guendouzi e Tavares, per esempio – e i «mottiani» hanno preso campo e persino spicchi d’area. Traversa di Vlahovic, scempio aereo di Douglas, pugni di Provedel su lecche del serbo, di Fagioli e di Adzic (18 anni, talentino del Montenegro). Dalla panchina, Thiago aveva estratto ciò che poteva, idem Baroni (anche un certo Pedro, però). E così, alla fine, ci si dimena fra iella e chiappe, legno e harakiri, Perché il calcio, a volte, cede alle serenate di Coverciano ma poi scappa in motel con l’episodio.
*articolo ripreso da Beck Is Back, il blog di Roberto Beccantini
*foto ripresa da Sky Sport