Dunque, Mario Balotelli ci riprova. Ennesima riga sulle pagine di un quaderno ormai sgualcito per le troppe cancellature, i troppi passaggi a vuoto in una carriera sempre più lontana dai riflettori dei grandi palcoscenici. Quanto ci mancava Mario Balotelli? La sua assenza nelle nostre domeniche di serie A era stata ormai ampiamente metabolizzata. Alle volte, però, soprattutto se la partita che stavamo guardando in TV o dalla tribuna di uno stadio non ci catturava particolarmente tutto sembrava ancora più piatto, monotono, banale. Senza colpi di classe e senza colpi di scena.
Dicevano che ad ogni partita fosse a rischio espulsione. Dicevano che giocasse più per la sua vanità che per la sua voglia di vincere. Dicevano che non fosse un vero italiano, ma Mario Balotelli è ancora oggi l’unico abitante del paese dove “‘’l sì sona” capace di stamparsi nell’immaginario mondiale e finire sulle copertine del “Time” e di “Sport Illustrated”. Neanche le metafore che da quasi un secolo descrivono i giocatori come lui, “genio e sregolatezza” o “croce e delizia”, riescono a rendere l’idea di questo uomo in grado di segnare gol memorabili: in rovesciata o di spalla, con tocchi sublimi o sonore pedate, da perfetto giocatore di squadra oppure facendo tutto da solo. Capace di giocate mirabili e poi di gestacci, schiumanti reazioni e scrollate di spalle. Il tormento e l’estasi.
D’altronde è impossibile guardare alla normalità quando Balotelli è stato fin da subito per tutti “Super Mario”
Passano gli anni, eppure, nelle dinamiche di un pallone in cui non sembra esserci riconoscenza, memoria, affetto o gratitudine Mario non viene mai dimenticato. Chi scrive l’ha inserito nella lista degli svincolati lo scorso 12 settembre. Era scontato che il suo nome venisse accostato ad una squadra in seria difficoltà come il Genoa. Molto meno che Mario fosse abile e arruolabile per giocare in serie A, superando le visite mediche dopo mesi passati ad allenarsi in solitaria. E così, il presidente Zangrillo ci è cascato di nuovo, per dirla alla Achille Lauro. Ancora una volta, nei discorsi attorno all’attaccante bresciano hanno prevalso nostalgia, ricordi e speranze. Di Mario Balotelli, infatti, si parla ancora come se avesse davanti a sé tutta una carriera da giocare. Una sorta di sortilegio che l’ha fatto sempre percepire come eternamente giovane. La verità è che la carta d’identità recita ormai 34 anni, mentre la pagina Wikipedia propone in rapida, vorticosa successione Brescia, Monza, Adana Demirspor, Sion e ancora Adana Demirspor. Avventure, tutte scialbe, durate una stagione e nulla più.
Eppure, non si può menzionare Mario Balotelli senza ritornare, eternamente, nietzschianamente, a Euro 2012. L’apice di Mario. La vetta mai più raggiunta. L’istantanea che non sbiadirà mai: la statua d’ebano impressa nelle coscienza collettiva.
C’è sempre un motivo per fermarsi a guardare Italia – Germania. Ed è così anche quel 28 giugno di ormai dodici anni fa. Motivi in grado di travalicare il rettangolo di gioco. Quell’anno le ragioni in più stanno in due parole difficili da digerire per gli italiani: spread e Bundesbank. I fantasmi di una crisi che gli italiani hanno imparato a conoscere molto bene. E la partita ha il sapore di una rivincita su più fronti.
Ore 20:45, lo spettacolo ha inizio. Per Balotelli e compagni la partita è durissima. La Germania ha talento. La difesa azzurra soffre. Dopo venti difficili minuti, l’Italia riesce a respirare. Antonio Cassano riceve sulla fascia, va via a due avversari e crossa al centro per la zuccata di Mario Balotelli. Vantaggio azzurro con annessa esultanza di Super Mario. La Germania riprende a martellare. Buffon, ogni minuto che passa, sembra sul punto di capitolare. Al ’36, la Storia: Riccardo Montolivo vede Mario Balotelli solo nella metà campo tedesca. Lancio millimetrico, stop di gran classe, fiondata all’incrocio dei pali ed esultanza a mimare una statua d’ebano. Attimi iconici, indimenticabili per chi c’era. Un simbolo che rimbalza sui neonati social network di tutto il mondo. Un’immagine parodiata nei modi più disparati.
C’è un’altra immagine quel giorno che farà il giro del mondo: un’immagine irrituale che si contrappone in modo netto alla prima e a quegli addominali in bella vista. Il cattivo ragazzo del calcio, a fine partita, si scioglie tra le braccia materne. Il ragazzo più scapestrato l’ha voluta vicino a sé. Una gioia immensa. I momenti felici, purtroppo, finiranno quattro giorni più tardi a Kiev. Quattro sonori fischioni degli spagnoli spazzano via gli azzurri dal terreno di gioco. Quattro schiaffi che trasformano i sorrisi in pianto, mestizia. Eppure, l’Italia del pallone si consola: con un Balotelli così le gioie non possono che essere dietro l’angolo.
A proposito: l’ultimo gol della Nazionale italiana ad una fase finale della Coppa del Mondo porta la sua firma. Inghilterra – Italia, ancora una volta perentoria capocciata di Balo su traversone questa volta non di Cassano ma di un altro Antonio, Candreva. Era il 15 giugno 2014. Concedetemi un po’ di impressione.
Da Mario Balotelli, questa volta, ci si aspetta il meno possibile. Il Genoa ha davvero bisogno dell’aiuto di tutti, anche di un Mario Balotelli crepuscolare, per rinforzare un reparto offensivo orfano delle cessioni di Retegui e Guðmundsson e vittima degli infortuni di Malinovskyi, Messias, Ekuban e Vitinha. Per una volta, Mario non è l’eccezione alla regola, la figurina in grado di impreziosire rose non certo da stropicciarsi gli occhi. Anzi, per la prima volta, non è così sicuro che Mario sia titolare. Pinamonti è sicuramente più pronto e più utile dal primo minuto. Mario, invece, potrebbe rivelarsi formidabile a gara in corso: punizioni, mischie, rigori, corner e altre situazioni da palpitanti ultimi minuti di gare per non retrocedere, dove ogni punto pesa come un macigno, sarebbero tutti suoi.
E, allora, ci piacerebbe vedere, andando avanti nel tempo, far capolino mamma Silvia dalle tribune di Marassi. Proprio come quella sera di una notte d’estate di tanti, troppi, anni fa. Mario è in lacrime. Corre ad abbracciarla. Ma sono lacrime di gioia. Ha salvato il Genoa. Il suo arrivo ha svoltato la stagione, un po’ come aveva fatto nel gennaio 2013 al Milan, trascinato alla qualificazione in Champions a suon di gol.
Per Mario, del resto, la vita è sempre stata e sempre sarà un eterno ritorno al passato.