Abdi Nageeye è tutta la vita che corre. La vittoria della Maratona di New York è soltanto l’ultimo dei tanti traguardi tagliati dall’atleta olandese che ha riportato l’Europa sul gradino più alto del podio ventotto anni dopo Giacomo Leone. La corsa non ha rappresentato soltanto una passione per Abdi, ma piuttosto si è ben presto trasformata in un alleato per fuggire sia dalla paura della guerra che dai pericoli provenienti dalla famiglia.
Nato a Mogadiscio il 2 marzo 1989, Nageeye ha iniziato a fuggire in compagnia dei genitori a soli quattro anni quando i conflitti lo hanno costretto a lasciare la Somalia in direzione Etiopia dopo nemmeno tre anni. “Fino ai quattro anni ho vissuto a Mogadiscio. Poi siamo andati in Etiopia, ad Addis Abeba. Non ricordo molto di quel periodo. Ricordo camion, molti trasbordi. Abbiamo incontrato anche molti carri armati. Ma siamo arrivati sani e salvi – ha raccontato Nageeye al quotidiano olandese DeMorgen -. Ci sono sempre stati combattimenti in Somalia, anche a Mogadiscio, ma non ho ricordi personali. L’ho saputo solo dopo. Noi giocavamo semplicemente fuori. Non ho vissuto esperienze terribili, siamo stati fortunati”.
Nel 1996, prima di compiere sette anni, Abdi si trasferisce nuovamente, questa volta a Den Helder, cittadina dei Paesi Bassi dove vive il fratellastro. Quest’ultimo non pensa che l’Olanda sia un paese adatto per far crescere Nageeye con i dettami dell’Islam motivo per cui decide di portarlo con sé in Siria. “Lì ho trascorso dei momenti rilassanti, anche se mi mancavano i Paesi Bassi. Abbiamo memorizzato il Corano. Avevamo quella base, eppure il mio fratellastro non ci riportò nei Paesi Bassi dopo tre anni ma ci lasciò dai miei genitori”.
Un nuovo trauma per Abdi che si ritrova ad affrontare una situazione economica complicata e soprattutto a far i conti con la fame. A quel punto scappa per l’ennesima volta e raggiunge nuovamente l’Olanda, a Oldebroek, dove viene adottato da una famiglia. Come ogni ragazzo di quell’età non è l’atletica ad attirarlo, ma il calcio gli lascerà segni che si porterà tutta la vita. “In quello sport, un tipo piccolo come me non ha molte possibilità. Molte persone pensano: ‘Oh, un ragazzo di colore, leggero, è normale che sia bravo’. Ma con la mia schiena arcuata e le gambe storte, non sono proprio un talento naturale. Ho avuto molti infortuni. Solo di recente sono riuscito ad allenarmi senza troppi dolori”.
L’atletica arriva quasi per caso quando a diciassette anni un compagno di classe lo iscrive a una cinque chilometri che Abdi vince. Da quel momento la corsa diventa la sua professione, anche se i soldi scarseggiano così come un equilibrio mentale che lo porta a sfiorare il podio nei 5000 metri agli Europei Under 23 nel 2009 così come il sesto posto agli Europei 2016 nella mezza maratona.
“Per molti anni sono stato irrequieto. Ho cambiato gruppo di allenamento troppo regolarmente. Nel corso della mia carriera ho probabilmente cambiato allenatore dodici o tredici volte. Ho lasciato un gruppo di allenamento sei settimane prima delle Olimpiadi di Rio del 2016, il che, a posteriori, probabilmente non è stata la migliore idea. Mi spostavo sempre, ero sempre alla ricerca del posto perfetto – ha confessato Nageeye -. Mi pento di non aver letto molti libri quando ero più giovane. Non avevo interesse. Eppure la mia vita sarebbe cambiata in molti modi dopo che ho iniziato ad ascoltare musica blues. Ascoltavo molto rap, ma i testi parlavano solo di cose superficiali, come i soldi. I testi della musica blues riflettono le vere lotte”.
La vera svolta arriva però all’Olimpiade di Tokyo 2020 dove, da perfetto underdog, conquista l’argento alle spalle di Eliud Kipchoge condividendo l’impresa con il belga Bashir Abdi. “Era devastato. I chilometri più dolorosi di una maratona sono il 38 e il 39. Era stanco e aveva poco ossigeno in testa. Nella mia mente ho sentito tutto quello che ci eravamo detti nei mesi prima. Come durante tutti quegli allenamenti avevamo mantenuto viva la convinzione che avremmo potuto tenere il passo con i keniani e gli etiopi. ‘Forza Bashir’, ho gridato, ‘faremo la storia’”.
Da lì la notorietà e la possibilità di allenarsi in Kenya, dove i migliori podisti si affrontano fianco a fianco in allenamento prima di svernare in giro per il mondo e puntare alla vittoria nelle principali competizioni. Nonostante in Africa divenga una celebrità, Abdi rimane un semi-sconosciuto per gli occidentali che, quando lo hanno visto tagliare il traguardo in solitaria a New York, hanno capito di aver di fronte un fenomeno, destinato a correre per sempre.