L’operazione Baia dei Porci è uno momento topico degli anni ’60. Due attori protagonisti, Kruscev e Kennedy, pronti ad una guerra nucleare ed un terzo, Papa Giovanni XXIII, che media tra loro. Quando il mondo sembra essere sull’orlo del precipizio, ecco prevalere il buon senso: l’olocausto nucleare è per il momento rimandato. Prendete ora una miscela simile ma opposta: due figure forti ed autoritarie, Henry Ford II e Enzo Ferrari, che cercano un accordo ed una terza, che media sulla possibilità di una rottura dell’accordo, che risponde al nome di Gianni Agnelli, l’avvocato più famoso dello Stivale.
Che cosa potrebbe mai venirne fuori? Facile, la più grande rivalità – o guerra per rimanere in tema con l’incipit – degli anni ’60 sotto la categoria “corse”.
Lo sgarbo
In Italia, Enzo Ferrari continua a inseguire i suoi sogni fanciulleschi. Non corre più da circa due decadi ma l’aspirazione ed il sogno di vincere ogni singola competizione sono rimasti, trasferiti nella sua squadra corse. Le Ferrari sono opere d’arte su ruote, velocissime e talvolta insuperabili. Il tempo, però, scorre ineluttabilmente e a dominare in quel di Maranello non è l’iconico rosso acceso dei bolidi del cavallino quanto quello di gran lunga meno piacevole dei conti. Non sono solo le finanze a destare preoccupazioni al commendatore, ma anche la sua sfera privata. L’incidente di Guidizzolo alla Mille Miglia del 1957 con annessa accusa di omicidio colposo, i dissidi interni alla fabbrica che porteranno al benservito agli alti vertici e soprattutto la morte insensata del figlio Dino per una malattia a soli 24 anni. Enzo è scosso e nel profondo medita circa un’eventuale cessione del suo gigante ritrovatosi, improvvisamente, coi piedi d’argilla.
Negli USA, invece, Henry Ford II non punta a costruire auto da corsa. La filosofia della casa dell’Ovale Blu è agli antipodi: si devono vendere auto per famiglia e non per vincere corse. Il cittadino americano medio è il modello su cui costruire le vetture. A ciò va aggiunto un tacito accordo tra i principali marchi – Ford, Chrysler e GM – affinché nessuno costruisca auto da corsa. Un patto di non concorrenza che, però, non viene propriamente rispettato da tutte le parti in causa. Nel 1957, la Chevy – gruppo GM – fa debuttare la Corvette sull’asfalto di Daytona. Le vendite della Ford subiscono un tracollo inaspettato.
Dall’altra parte dell’Atlantico, qualche anno prima, Luigi Chinetti, vincitore a Le Mans nel 1949, suggerisce ad Enzo Ferrari di importare le proprie vetture negli USA. Un mercato differente rispetto a quello europeo, un’avventura inebriante. È un’esplosione: complici anche le star di Hollywood, le Ferrari conquistano notorietà e fama cullando i sogni di grandi e piccini. Una dinamica che fa andare su tutte le furie Ford che, non solo spendeva montagne di denaro per sponsorizzare i propri prodotti, ma deve anche subire l’ironia del Drake:
“Se Ford vuole finire sui giornali gratis, basta che si compri una Ferrari.”
Già, Ferrari è uno che certamente non le manda a dire, e chissà che non sia stata proprio questa frase a far balenare nella mente di Henry Ford II l’idea di acquisire non una Ferrari, ma la Ferrari. È il 1962, e nonostante un primo appoggio a Carroll Shelby a livello sportivo, le voci di una presunta trattativa si fanno sempre più insistenti negli ambienti Ford.
Le trattative vanno subito per il meglio, c’è grande armonia, la fusione tra Ferrari e Ford sembra cosa ormai certa. Si arriva così a metà maggio del 1963: i legali americani arrivano a Maranello per siglare il contratto che prevede la cifra di ben 16 milioni di dollari a favore di Ferrari per la cessione della sua azienda. Il Commendatore vuole un’unica cosa: mantenere il controllo sulla squadra corse. Arrivati al momento della firma, il 21 maggio del 1963, il Drake nota qualcosa che non può né accettare né tollerare e, con la sua proverbiale schiettezza, prende in mano la sua stilografica ed appunta al lato del contratto:
“No, non ci siamo!”
I legali Ford vengono rimandati oltreoceano col cerino in mano: un contratto che pareva ormai già concluso si polverizza improvvisamente. Ma che cosa spinse Enzo Ferrari a rifiutare un accordo che sulla carta pareva così vantaggioso? La presenza sul contratto della richiesta di rinunciare all’unica cosa che il Drake aveva definito intoccabile: il controllo sulla squadra corse. In una delle tante clausole presenti nel contratto, infatti, si designava sostanzialmente Ford come capo del Reparto Corse, dato che tutte le decisioni avrebbero dovuto essere avallate da lui, e su questo Enzo Ferrari non poteva proprio chinare il capo. Influì, ovviamente, la regia occulta della Fiat e di Agnelli.
Il sogno americano
Ford, al rientro dei suoi legali, è furioso. Vuole battere Ferrari con ogni mezzo, e vuole farlo nella riserva di caccia della Ferrari: la 24 Ore di Le Mans. Sconfiggere Ferrari da zero a Le Mans non è assolutamente impresa facile, anzi. Ford però ha una cosa di cui Ferrari non dispone: il denaro per creare e sviluppare una vettura di prim’ordine. I primi soldi vengono investiti su un progetto di una vettura inglese, che l’anno precedente aveva destato particolare interesse nel mondo delle quattro ruote. SI tratta della Lola GT partorita dall’estro dell’ingegnere Eric Broadley.
Il primo approccio a Le Mans? Un cataclisma. Tutte e 3 le vetture soffrono problemi di affidabilità e di aerodinamica. L’armata dell’Ovale Blu sventola bandiera bianca ben prima del tempo. E chi vince in quella Le Mans del 1964? Ferrari, ovviamente, che si prende i primi tre posti della classifica generale con le sue 275 P e 330 P.
In questo 1964 c’è, però, un vincitore che ha il volto di Uncle Sam impresso nella mente e una bandiera a stelle e strisce che gli avvolge il cuore. Un cuore che pulsa grazie ad iniezioni di nitroglicerina: Carroll Shelby. Pilota prima e costruttore poi, con la sua Shelby Cobra ha attirato le luci della ribalta su di sé e sulle sue creazioni. Henry Ford II, con cui Shelby già vantava dei rapporti di collaborazione anche nel progetto GT40, dopo l’amara delusione gli affida le chiavi del progetto. Come per i più classici esempi di amicizia anche Carroll lega i suoi successi ad un personaggio sui generis: Ken Miles, uomo dal carattere naif ma dal cuore unico. Ex comandante di carri armati durante la Seconda guerra mondiale, finito il conflitto bellico torna a dedicarsi alla sua grande passione: le corse. Nonostante i risultati sportivi egregi, Miles si fa notare per la capacità di messa a punto delle vetture. Un’abilità unica che balza agli occhi di Carroll Shelby e del suo progetto “Cobra”.
La Mk2 è pronta a fare il debutto nel mondiale Endurance del 1965. Il binomio Shelby – Miles inizia a dare i primi frutti. L’auto è notevolmente migliorata dal punto di vista di freni, stabilità e affidabilità. Sebring, sede della gara, è a stelle e strisce: finalmente al secondo tentativo la Ford è diventata competitiva. A Le Mans, tuttavia, non c’è storia neppure stavolta: Ferrari continua a dominare, vince ancora per la sesta volta consecutiva. Un record.
Per Ferrari questi anni di successi sono complicati dal punto di vista finanziario: solo l’estro ed il genio dei suoi uomini migliori, Forghieri su tutti, hanno tenuto in piedi l’azienda ed inanellato successi. Tutte le forze sono concentrate nella classe regina, la F1, a discapito talvolta delle altre classi. La 330 P3 che prende parte alla 24 Ore di Le Mans del 1966 è una vettura innovativa solamente dal punto di vista aerodinamico. Mentre Ford a Daytona e Sebring dà un assaggio della forza e delle potenzialità della Mk3 con la vittoria di Miles e di Ruby in entrambe le tappe, Ferrari, complici gli scioperi che porteranno poi alla riforma del diritto del lavoro in Italia, riesce a preparare solamente due vetture, più una terza della scuderia NART affidata a l’onnipresente team di Luigi Chinetti. Ford, al contrario, porta otto vetture.
Lo sforzo profuso dalla Casa di Dearborn è spaventoso: per quantità di soldi spesi rispetto a tutti i suoi avversari la Ford sembra la NASA. È il primo marchio che introduce una simulazione computerizzata per migliorare la propria vettura. Ford, oltretutto, non ha solo la vettura più performante del mondiale endurance 1966, ma anche un team di piloti di rilievo: Miles – Hume sulla vettura #1, Mclaren – Amon sulla #2 e Gurney – Grant sulla #3 sono i piloti a cui l’Ovale Blu ha affidato il compito di domare col lazo il Cavallino Rampante.
Impresa non semplice però, dato che anche i piloti di Maranello sono eccezionali al pari di quelli messi in campo da Ford: Bandini – Guichet, Rodiguez – Ginther e, soprattutto, Surtees – Scarfiotti, con l’inglese che è la punta di diamante di una squadra piccola ma competitiva. Il pilota iridato sia nel motomondiale che nella F1, tuttavia, non prenderà mai parte alla 24 Ore di Le Mans del 1966. Complice un ordine del Drake che voleva Scarfiotti come partente al via, Surtees decide di andarsene e di lasciare il proprio posto a Mike Parkes.
Trionfo amaro
In Europa, tutti bollano Ford con un’unica, caustica, frase:
“I soldi non possono comprare l’esperienza.”
Dopo un intenso biennio di lavoro ed investimenti che ancora ad oggi si fatica a quantificare, alcuni parlano di circa 2 miliardi di dollari attuali, Ford è, però, ormai pronta.
Ci sono due filosofie differenti per approcciare una gara di durata: c’è chi punta sulle pure prestazioni e chi, invece, si gioca il tutto per tutto con strategia e gestione del ritmo. Ford è la più veloce, ma il motore ha bisogno di una quantità pantagruelica di carburante: fa poco più di due km con un litro. Ferrari, invece, a fronte di prestazioni inferiori, consuma meno grazie ad un motore di ridotte dimensioni, vanta una maggiore velocità nel misto, puntando dunque a recuperare con un minor numero di soste il tempo perso in pista rispetto alla diretta rivale americana.
Il via alla 24 Ore di Le Mans del 1966, lo dà proprio Henry Ford II in persona, con le sue vetture che vanno subito in testa. Miles è una belva: nel corso della prima parte di gara inanella giri veloci in sequenza, mantenendo saldamente il comando della gara. Nella parte finale della giornata, tuttavia, a complicare le cose per Ford arriva la pioggia: le Ferrari balzano in testa, tallonate dalle Ford, con tutte le altre vetture che sono invece doppiate. Con la stessa rapidità con cui è arrivata, la pioggia smette al calar della notte, e le Ford tornano a riprendersi la vetta della classifica. L’oscurità porta guai per la casa di Maranello, che nella notte perde le vetture di Scarfiotti e Rodriguez. A portare avanti il tricolore oramai c’è solo Bandini, ma il fato stavolta non è dalla parte del Drake: a poche ore dallo sventolare della bandiera a scacchi, infatti, una rottura del motore costringe anche la terza Ferrari ad abbandonare i sogni di gloria.
È un trionfo della casa dell’Ovale Blu e per Ford ora c’è solo l’imbarazzo della scelta su quale auto far transitare per prima sulla linea del traguardo. I vertici vogliono un arrivo trionfale in parata, ed ordinano a Miles di rallentare: il pilota britannico obbedisce all’ordine di scuderia. Le vetture terminano la gara appaiate. È successo: Ford è riuscita ad imporsi. Miles festeggia, ma sul gradino più alto del podio non c’è posto per lui. Già, in un epilogo incredibile il destino, la poca (o forse troppa) conoscenza del regolamento priva della vittoria il malcapitato Ken. È l’auto che ha percorso più metri a dover essere dichiarata vincitrice. Miles, partendo in testa, ha percorso una distanza minore rispetto alla vettura di Amon – McLaren.
Quanto minore? Circa otto metri. Otto metri che hanno separato Miles dal trionfo di una vita, otto metri che lo hanno privato dei sogni di gloria, quegli stessi sogni che il pilota texano probabilmente stava ancora inseguendo quando, durante un test della nuova versione della GT40, un incidente gli toglie brutalmente la vita.
Un epilogo insensatamente amaro, ma un finale che non può far altro che alimentare il fuoco della leggenda che si staglia dietro di lui e dietro Carrol Shelby, due uomini che riuscirono a battere Ferrari. Perché certo, i capitali furono ingenti, ma senza queste due pedine non ci sarebbe mai stata partita nemmeno per un Paperone come Ford in una vicenda che, vissuta come una guerra tra sogni, visioni ed uomini, ha consegnato all’eternità una delle più belle e grandi rivalità nella storia del Motorsport.