Semplice volare in serie A. Come semplici possono essere le mosse di un allenatore che ha nel cognome la chiarezza delle cose fatte bene, perché il calcio è più semplice di quanto si possa pensare e non è solo una favola, soprattutto quando si vince. Leonardo è un toscano di cinquant’anni, anzi meglio dire fiorentino, che ha scavalcato l’Appennino per entrare nel principato degli Estensi e guidare la Società Sportiva Ars et Labor, la mitica Spal con la maglietta bianco e celeste con le losanghe strette. Nacque pochi mesi prima che la squadra di Ferrara retrocedesse in serie B, stagione 1967-1968. Anni d’incanto lontani, rivitalizzati dall’impresa di oggi.
La Spal, a sorpresa, pratica il salto triplo (a un passo): dalla Lega Pro alla massima divisione. Non è una novità assoluta, ma resta un’impresa per una città che prima di ritornarvi è passata attraverso due fallimenti, forche caudine alla quale non ha potuto sottrarsi una società storica e che sembrava nascosta dalla polvere dell’oblìo, sommersa dalle anse del Po, il fiume che a pochi chilometri la lambisce.
Chi è stato protagonista della serie A degli anni 50-60, non avendo grandi bacini di utenza a cui attingere e soprattutto pochi capitali da spendere (una volta bastava la fantasia, ora non più), è stato travolto dal tempo, incapace di reggere la dimensione nuova. E’ scesa agli inferi la Spal, ma è risalita nel ricordo di un passato che resta vivo. Per i ragazzi che oggi viaggiano verso i settanta, le prime figurine del tempo, che sbucavano dallo strappo delle bustine acquistate alla prima edicola a portata di mano, portavano tra le loro dita i nomi di Oscar Massei o Sergio Carpanesi, Sergio Cervato o Carlo Dell’Omodarme, Edy Reja o Fabio Capello. Erano i campioni del tempo, l’orgoglio di una città di provincia capace nel coccolarli, allevarli, lanciarli.
Guidava quella splendida società Paolo Mazza, elettricista di professione, poi allenatore, infine presidente, l’uomo che riportò per la prima volta la squadra in A nel girone unico. Usava testa, fantasia, imprenditorialità contadina per reggere al confronto con le grandi di allora: alla Juve c’era la famiglia Agnelli, all’Inter la famiglia Moratti, al Milan la famiglia Rizzoli. Tutta gente con la “grana”: e allora si rispondeva con buon senso, colpi di mercato e giovani emergenti. Fino a che durò.
Cose Semplici che l’attuale tecnico della Spal, cresciuto nella periferia del calcio che non è un vuoto a perdere, ma croigiuolo di grandi genialità tecniche (un nome su tutti: Sarri), ha saputo gestire con un mix di giovani emergenti e giocatori esperti.
Il campionato di serie B è tosto. Qui si sono formati giovani calciatori diventati campioni e carneadi della panchina trasformatisi in maghi, non è facile averne ragione. Eppure la Spal ha sempre dimostrato di saper stare in vetta, di lottare con Verona (sulla carta la squadra più attrezzata) e Frosinone (anch’esso appena retrocesso) che raccoglievano per pedigree i favori del pronostico. La svolta è avvenuta dopo una sconfitta, in casa contro il Frosinone, che poteva chiudere i conti con la possibilità di accesso alla serie A immediata. Quella è stata una sferzata e con cinque vittorie consecutive la Spal si è messa tutti alle spalle e può cominciare a togliere lo champagne dal frigo.
La parola d’ordine è chiara: attaccare. La squadra emiliana nasce da un’idea che porta lontano, se costruita su equilibri (vedi la Juve, comunque ricchissima di campioni) proponendo anche cinque assalitori in avanti e una difesa che non rinuncia mai al possesso e ambisce a costruire e a risucchiare gli avversari. Giovani e anziani si ritrovano, si capiscono, lottano con una sintonia che difficilmente si vede in serie B. E poi c’è un portierino, Alex Meret, 19 anni che pur senza la fortuna di Donnarumma, straordinario debuttante in A con il Milan, a Ferrara si è costruito un presente che ha sapori di un futuro luminoso. Qui ha deciso di scendere di categoria Sergio Floccari, attaccante che ha subito fatto la differenza e che a fine stagione si riprenderà ciò che pochi mesi fa aveva deciso di togliersi: la serie A.
Il futuro, passata la festa, non sarà una passeggiata. Bisognerà cominciare dallo stadio, dedicato a Paolo Mazza, che si è colmato fino a 8500 spettatori per la sfida contro il Verona, ma che sarà troppo piccolo per le grandi che arriveranno a giocare da queste parti. Il progetto è di uno stadio che potrà accogliere 16 mila spettatori, un piccolo salotto per mostrare il calcio delle Semplici cose, delle Semplici idee e della favole Semplici che è ancora bello raccontare.
Sergio Gavardi