“Sapevo che non ero molto amato e che avrei dovuto fare di più molto di più del normale per convincere i giudici: eravamo a Londra, all’Olimpiade degli inglesi, in casa di Joshua, e io dovevo convincere due volte tutti. Sì, mi hanno fatto un torto. E, a distanza di tempo, ho analizzato anche come. Perché un punto solo di vantaggio per me dopo il primo round era poco, coi tre dopo il secondo round stavo tranquillo, e nel terzo ho perso troppo nettamente per giustificare quel verdetto: neanche se fossi andato giù avrei potuto subire gli otto punti che gli ha dato la giuria”.
Com’è possibile che i giudici abbiano preso un simile abbaglio?
“Il pubblico, che urlò e incitò qualsiasi colpo di Joshua come se avesse fatto chissà cosa, influenzò tutti, anche me. Infatti, subito dopo il match, volli rivedermi tutto, per capire dove e se avevo sbagliato e come avevo fatto a perdere un simile vantaggi. Ma, rivedendo a freddo ogni azione, mi convinsi che non avevo colpa: la cosa fu sistematica. Anche perché Joshua aveva annunciato che, subito dopo l’Olimpiade, avrebbe disputato le World Series, mentre io no. E quindi l’AIBA lo protesse, così come fece con Clemente Russo: aveva bisogno di un campione olimpico che facesse cassetta”.
Ricorda che successe subito dopo il match?
“Joshua mi chiese di scambiarci la canotta, la sua è esposta al museo della boxe di Assisi, qui dove vivo. Tempo dopo fui contattato proprio dall’AIBA per un incontro misto in cui c’eravamo tutti e due, ma ero interessato solo a una vera e propria rivincita fra noi due: ero convinto di poter arrivare in finale, ma non ero certo che ce l’avrebbe fatta lui, e così la cosa saltò”.
Ha risognato mai quella finale olimpica così sfortunata?
“Avevo sognato il match il giorno prima, e vincevo, si vince spesso, in sogno, poi bisogna trasformare il sogno in realtà… Il giorno dopo non ho chiuso occhio ripensando a quello che avrei dovuto e potuto fare, ma poi ho smesso perché era inutile rovinarmi la vita. In fondo, avevo già un bronzo e un oro olimpici, se non li avessi avuti mi sarei sentito ancor più defraudato, ma così, in fondo, le mie soddisfazioni me le ero prese e la mia carriera resta comunque grandissima. A prescindere dalla malafede che ci fu nei miei confronti quella volta, come purtroppo è già successo molte volte nella boxe”.
Però Joshua, sullo slancio di quella finale di Londra, ora combatte per una borsa di 10 milioni di dollari, ed è ricco e famoso. Prova un po’ di invidia?
“In realtà, io ci persi subito i 70mila euro di differenza del premio Coni fra la medaglia d’oro e quella d’argento, e poi quello che avrei potuto monetizzare come indotto, anche se io non sono mai stato un personaggio e feci solo Ballando sotto le stelle, e solo perché era a metà stagione e io ancora combattevo. Ma, per natura, non sono invidioso”.
Quindi tiferà per Joshua?
“Tiferò, come sempre per il pugilato, e quindi per un campione dei massimi che traini il movimento come è successo a me quando c’era Tyson. Tecnicamente, penso che vincerà Klitschko perché Joshua non è ancora pronto, ma per il movimento sarebbe meglio se vincesse l’inglese, anche per evitare che, dopo questo match, ci siano altri 5-6 match che facciamo scadere l’interesse, ora altissimo. Perché lo sport vive di grandi gare, di rivalità. E penso che Joshua richiami più di Klitschko, in generale, come personaggio”.
Vedrà il match?
“Penso di sì, perché ce l’ho nel pacchetto Fox e perché comunque sono di fronte due campioni olimpici. E perché sarà comunque un grande successo per il movimento, allo stadio di Wembley, davanti a novantamila spettatori. No, non tiferò, sarò uno spettatore imparziale”.
Penserà, ha mai pensato: “Io ero più forte di Joshua?”.
“Beh, allora lo ero, e non sono mai stato presuntuoso. Oggi, lui né migliorato molto: fisicamente, è più veloce, più fluido, allora non era straordinario”.
Intanto Roberto Cammarelle, è felice fuori dal quadrato che ha lasciato nel 2016?
“Ho moglie e tre figli che mi riempiono la vita. Lavoro alle Fiamme Oro, dò anche un occhio ai ragazzi, ai tecnici, da maggio entro nella Giunta del Coni e quindi rioccuperò di tutto lo sport, come non potevo quand’ero pugile a tempo pieno. Ho sempre amato il calcio (è tifoso Juventus), basket, pallavolo, atletica, qualsiasi gara dell’Olimpiade”.
E se uno dei suoi figli volesse fare pugilato?
“Per ora il maggiore, di 7 anni, fa nuoto. Vedremo, la pre-pugilistica farebbe bene a tutti, l’agonistica dipende. La fortuna è che sono anche bravo a capire chi è bravo, e così lo indirizzerei nella giusta direzione. Perché il pugilato è uno sport duro, inutile negarlo”.
Vincenzo Martucci