Ci sono numeri e numeri. Certo, la doppia cifra dei trionfi di Rafa Nadal sulla terra rossa di Montecarlo e Barcellona colpiscono più dei 9 che già aveva, anche se costituivano già un record imbattibile. Così come l’eventuale decimo sigillo al Roland Garros farebbe ancor più effetto degli attuali 9, sempre più di qualsiasi tennista in qualsiasi torneo e quindi anche in qualunque tappa dello Slam. Ma, almeno noi, siamo più colpiti ancora dai 51 titoli sulla superficie del Maciste di Maiorca, sui 71 totali, con la percentuale del 92% di successo sul “rosso”, in virtù dei 375 match vinti contro 34 persi. E ci impressiona comunque di più che si sia imposto nove volte nell’arco di dieci anni a Parigi, dal 2005 al 2014, con quell’unico neo del 2009, nei quarti contro lo svedese Robin Soderling. Un altro dato che ci colpisce tantissimo è quello che evince dalla classifica a punti stagionale, “la Race” per le Atp Finals di Londra, che conta tutti i risultati della stagione e, premiando i grandi vecchi Federer e Nadal, li promuove ai primi due posti, mentre relega i primi due della classifica classica, Murray e Djokovic, addirittura al numero 11 e 20. E’ un dato che impressiona, considerando il dominio del serbo e dello scozzese, coetanei del maggio’87, che sembravano aver mandato in pensione i capostipiti dei Fab Four, appunto Roger e Rafa.
Ma forse il dato numerico che più ci affascina è lo strabiliante salto all’indietro, al 2006, e stiamo parlando di 11 anni fa, compiuto dai due fenomeni. Perché, esattamente come quest’anno, Federer si impose nel primo Slam stagionale, agli Australian Open e nei primi Masters 1000 sul cemento Usa, a Indian Wells e Miami, e Nadal si aggiudicò i primi due test sulla prediletta terra rossa europea, imponendosi sia Montecarlo che a Barcellona. In quel magico 2006, la rivalità più esaltante dello sport toccò l’acme con sei sfide stagionali – più di sempre – con Rafa, ventenne, che ebbe il sopravvento, sempre in finale, sul cemento di Dubai, e sulla terra di Montecarlo, Roma e Parigi, mentre Roger, 25enne, si aggiudicò la finale di Wimbledon e la semifinale del Masters, in Cina. Rafa stava minando le sicurezze di Roger, che a Roma, in una bellissima finale sulla terra rossa, mancò due match point tirando appena fuori il suo magico dritto. Come sarebbero cambiato gli equilibri fra i due se quella partita l’avesse vinta lo svizzero? Probabilmente avrebbe trovato quel pizzico di fiducia in più che poi decise la finale del Roland Garros con quell’1-6 6-1 6-4 7-6 da lettino dello psicanalista, influenzando le quattro sfide decisive per il titolo fra i due. Tutte a favore dello spagnolo.
Curioso, quell’anno, Federer vinse i suoi tre titoli sul cemento senza mai incrociare Nadal, e perse poi completamente fiducia ritrovandoselo invece di fronte in tutt’e due le finali sul rosso pre-Parigi, e cioè a Montecarlo e Roma. Quest’anno le cose sono andate molto diversamente: Roger ha acquisito una montagna di sicurezza battendo Rafa in tutt’e tre le tappe che si aggiudicato (finale degli Open d’Australia, ottavi a Indian Wells, finale a Miami) sulla sua superficie preferita, e quindi forse, oltre a voler ricaricare le energie psico-fisiche dopo questo rientro miracoloso, ha preferito evitare qualsiasi scontro sulla terra rossa col rivale storico per preservare l’immenso vantaggio psicologico che ha riguadagnato dopo tanto tempo. Segnando fra l’altro per la prima volta quattro vittorie consecutive contro il formidabile mancino, partendo da Basilea 2015, con le tre su tre stagionali.
Gli attuali risultati generali, soprattutto di Djokovic e Murray, potrebbero davvero spingerlo, il 10 maggio al clamoroso rilancio della sfida a Nadal, direttamente sulla terra rossa del Roland Garros. Senza test, ma anche senza dubbi, giocando a viso aperto, spingendo i colpi (a cominciare dal rovescio), senza paura del micidiale top di dritto dello spagnolo che ha impersonato i suoi incubi più terribili.
Vincenzo Martucci
(Foto in apertura by Ray Giubilo)