Quando nasce una stella bisogna essere felici, quando ne sbocciano due bisogna far festa. E Roma, dopo una settimana di sole e caldo umido s’è regalata una serata di fuochi d’artificio, venerdì sera, per salutare le due giovani promesse, Alexander Zverev e Dominic Thiem, sbocciate nel firmamento di questo sport. Che poi i fuochi d’artificio siano stati tuoni, fulmini e un violento acquazzone che ha stoppato l’altra semifinale maschile, fra Novak Djokovic e Jun Martin Del Potro, sono dettagli linguistici o forse un aiutino del cielo per uno dei suoi figli più sfortunati, “Delpo”, sotto 1-6 contro un Nole di nuovo lucidissimo ed efficace.
Zverev e Thiem sono due campioni annunciati da tempo, non certo due sorprese in assoluto, ma hanno convinto su un palcoscenico qualificato come il Masters 1000 di Roma, su una superficie impegnativa come la terra rossa, nei quarti di finale, e alla vigilia del Roland Garros, il secondo Slam dell’anno. Che, sulla carta, offre più posti di primo piano, dopo la rinuncia di Roger Federer, la crisi psico-fisica di Andy Murray, la convalescenza di Djokovic e la scarsa forma di Wawrinka.
Giovani e potenti, Zverev e Thiem impostano il punto con un violento bombardamento da fondo, che il 20enne tedesco di genitori russi finalizza sempre più spesso a rete, mentre il 23enne austriaco tende ad aumentare sempre più violenza e profondità dei colpi. Zverev, che somiglia sempre più al futuro numero del mondo, respira tennis da sempre attraverso papà e fratello, già professionisti, e ha sorpreso, contro Milos Raonic, per freddezza, lucidità, gestione dei punti importanti, capacità di recupero, personalità e qualità. Favorito, oggi, contro Isner, ha dato un importante segnale sulla strada della conquista della superficie più ostica. A Roma però le condizioni sono state più veloci, attendiamo il test cinque set del Roland Garros per capire come reagirà di nervi contro avversari più tecnici.
Thiem ha sorpreso ancor di più, battendo Rafa Nadal dopo esserci andato vicino anche negli ultimi due tornei, perché, finalmente, non si è lasciato stancare in quel suo violento tiro a segno da fondocampo e poi finire come un toro nell’arena dal grande difensore di Maiorca. Stavolta, pur confermando poca varietà nel bagaglio tecnico, ha insistito a viso aperto, più aggressivo che mai col magnifico rovescio a una mano col quale ha sradicato, sulla diagonale più difficile, proprio il mitico dritto mancino del più grande giocatore di sempre sulla terra rossa. Fors’anche un po’ stanco dopo i trionfi a Montecarlo, Barcellona e Madrid delle ultime settimane. Avendolo battuto l’anno scoro a Buenos Aires ed avendoci perso per un soffio a Madrid, in finale, Dominic, che si affida a Gunther Bresnik, già guida dei primi Graf e Becker, ha impressionato per come ha imposto allo spagnolo lo stesso tira e molla, top spin-accelerazioni profonde, di scuola-Nadal.
Così l’aggressività sale sempre più perentoriamente al potere, cambia faccia, cambia bandiera, e ci fa rimpiangere ancor di più Roger Federer.
Vincenzo Martucci
(foto di Paolo Pizzi)