Alle otto della sera dell’ultima domenica di maggio il calcio non sarà più la stessa cosa. Francesco Totti lascia senza avere indicato le coordinate per l’eredità. Il più forte calciatore italiano di tutti i tempi (valutazione mia, ci mancherebbe) dice basta a malincuore, pronto a dedicarsi ai tornei di burraco con la moglie Ilary, appassionata di questo gioco che non prevede cucchiai e palloni.Lo squinternato Spalletti ha gestito pessimamente il tramonto di un fuoriclasse che avrebbe dovuto essere una risorsa, non un peso da smaltire. Per me Totti avrebbe tranquillamente potuto rinviare le sedute di Burraco a vantaggio del campo e forse raggiungere Piola, l’unico attaccante che gli sta davanti nella classifica dei gol. Perché nel calcio non contano solo i cursori, le ripartenze e l’approccio con le seconde palle. La terribile gergalità del calco ha finito col soffocare la fantasia, la ricerca dell’estetica, l’estro del campione. Il tutto mescolato allo spirito di appartenenza che rende Francesco Totti ancora più speciale: lo striscione che gli hanno dedicato i tifosi della Lazio cosiddetti irriducibili è la testimonianza più tangibile della diversità, anzi della unicità di questo straordinario personaggio.
Ecco perché dall’istante in cui Totti lascerà il campo per l’ultima volta, la tentazione di invocare un ripensamento sarà forte in tutti quelli che considerano il calcio lo sport più bello del mondo. Di cosa farà Francesco da grande, se onorerà o meno i sei anni di contratto da dirigente che Rosella Sensi gli regalò prima di cedere agli americani, non ci interessa più di tanto. Avremmo voluto, noi l’abbiamo accompagnato per tanti anni, un finale diverso. Che so, un passaggio di consegne suggestivo: esce Francesco, entra Christian. Sempre Totti.
Enrico Maida