Accanto a lui, era fisicamente presente zio Toni, che invece di seguire gli alunni del suo piccolo club, accompagnava per mano il nipote per il mondo. Toni è l’omino in trance che il mondo ha visto chissà quante volte inquadrato in tv sin dal 2005, quando Rafa ha vinto il primo Parigi fino ad oggi che è comparso, stravolto dalla timidezza e dalla felicità, sul centrale del Roland Garros, mentre stringeva finalmente anche lui la coppa dei Moschettieri vinta dal suo “Rafaél”. Che cosa può aver dato, tecnicamente, un modesto ex giocatore e un piccolo coach di un piccolo club delle Baleari ad un campione così grande? Al di là dei paroloni dei mille simposi ai quali è stato invitato negli anni, Toni ha dato a Rafa regole di vita e di comportamento che sono diventati i capisaldi della sua scalata sociale e sportiva. Rafa non ha mai scaraventato in terra una racchetta e mai l’ha rotta in pubblico, Rafa pensa solo punto dietro punto, “15 dietro 15”, non al game o al set o la partita successiva, Rafa rispetta tutti gli avversari, ma proprio tutti tutti, Rafa onora i grandi dello sport e conosce la tradizione, Rafa non fa paragoni con altri successi ed annate del passato, non parla solo degli Slam e del numero 1 del mondo, semmai parla dei Masters 1000 e della Race, la classifica a punti che tiene conto dei risultati stagionali, “perché domani nel tennis si riparte sempre da zero e ogni partita fa storia a sé”. Anche se ha promesso che, quando la favola sarà finita, si fermerà finalmente a ragionarci davvero su e a fare le sue personalissime classifiche su qual è stato il miglior Rafa. Intanto si gode il Roland Garros: “ Il torneo che per me resta sempre il più importante dell’altro”. E guarda chissà dove, lontano, ripensando all’ennesimo miracolo sportivo che è questo trionfo di Parigi, dopo che appena dodici mesi fa, si ritirava in questo stesso torneo, per la tendinite al polso.
Quando parla, Rafa sembra dica sempre e solo banalità. Come quando gli hanno chiesto, subito dopo il decimo urrà a Parigi, se crede di poter fare bene anche sull’erba di Wimbledon: “Ora ci sono tre settimane di stop prima di Parigi, ma ho giocato cinque finali anche quando ce n’erano due. Il problema sono le ginocchia, se mi faranno male non sarò competitivo e potrò anche lottare per tornare numero 1 del mondo”. Ma non sono banalità, sono gemme di filosofia di sopravvivenza che gli ha insegnato e ripetuto il famoso zio Toni. Così come nell’allenamento lo ha blandito, lo ha tranquillizzato, lo ha accompagnato, lo ha stimolato, lo ha allevato nel segno dell’educazione e dell’umiltà, lo ha seguito colpo dietro colpo. Puntuale, preciso, serio, attento. Un esempio di professionalità che il nipote doveva per forza imitare.
I due hanno anche discusso molto, hanno bisticciato pure, tanto che, sul campo, Toni il duro ha accettato negli anni l’arrivo dell’ex professionista, Roig e ora anche di Carlos Moya, accanto al manager, Carlos Costa, pure lui spagnolo ed ex tennista. Tutto per il bene di Rafael che, nel tempo, intorno al famoso dritto in top che ha terrorizzato Roger Federer, s’è costruito un sontuoso rovescio ed un ottimo servizio. Le gambe le aveva naturali, così come l’istinto al combattimento. Ma certo zio Toni che, simbolicamente, salendo sul palco del Roland Garros, è uscito anche di scena per tornare ad allenare nella sua isola – nella grande Academia Nadal di Manacor -, ha avuto un ruolo decisivo.
Tutti i giovani aspiranti stregoni dello sport, invece di guardare al colpo a sorpresa, al colpo ad effetto, all’applauso, al campione che vince i tornei dello Slam e diventa numero 1 del mondo, dovrebbero cercare gli oscuri, modesti, appassionati, maestri, che inseguono il concreto, il quotidiano, il piccolo passo avanti. E così mettono fondamenta incrollabili su cui innalzare campioni come Rafa Nadal.
Vincenzo Martucci