I Golden State Warriors hanno vinto il titolo Nba per la seconda volta in tre anni. Wow! Hanno battuto 4-1 i campioni in carica, i Cleveland Cavaliers, spinti, incoraggiati, guidati dal miglior LeBron James di sempre. Almeno fino a quando ce l’ha fatta a sopportare il ritmo imposto dai Warriors ad una serie finale bellissima, più equilibrata di quanto un 4-1 possa far immaginare. I Cavs erano avanti a 3’ dalla fine di gara-3, hanno battuto tutti i record in gara-4 realizzando 86 punti nel primo tempo, sono sopravvissuti al 28-4 degli avversari nel secondo quarto di gara-5, vedendo uscire, quando ormai sembrava essere inghiottita dal canestro, la tripla del -2 con una vita ancora da giocare. Kevin Durant è stato votato miglior giocatore delle finali, chiuse a 35.2 punti di media, col 47.4% da tre punti, 8.4 rimbalzi e 5 assist. LeBron ha risposto in modo semplicemente meraviglioso: ha realizzato 41 punti in gara-5, portando la sua media a 33.6 con 12 rimbalzi, 10 assist nelle 5 gare, una tripla doppia che racconta una eccellenza assoluta. E alla fine, dando un’occhiata alle statistiche, se la sfida dei Big Three delle sue squadre, Kevin Durant, Steph Curry, Klay Thompson di Golden State contro LeBron James, Kyrie Irving e Kevin Love è finita perfettamente alla pari (hanno vinto i tre dei Cavs per 0.6 punti di media combinati: 79 a 78.4. In realtà, i Warriors sono stati superiori anche nelle sfide tra i big…), appare evidente che i neo campioni siano stati la squadra migliore grazie a Draymond Green, Andre Iguodala, Shaun Livingston, spesso decisivi sui due lati del campo.
Credo che pur senza momenti altamente “drammatici” vista la potenza mostrata da Golden State, sia stata una finale che ha mostrato al mondo la Nba in tutta la sua forza e bellezza, in certi momenti addirittura straordinaria. I Warriors, avanti 3-1 nella finale un anno fa prima di subire la rimonta storica dei Cavs e perdere il titolo conquistato nel 2015, erano fortemente favoriti quest’anno, avendo acquistato sul mercato dei free agent Kevin Durant, probabilmente il solo che può oggi può contestare a LeBron James il titolo di miglior giocatore del pianeta. E hanno interpretato perfettamente questo ruolo, risultando la miglior squadra nella stagione regolare, il miglior attacco, la miglior difesa e, adesso, la squadra con la miglior percentuale di successi della storia dei playoff chiusi con 16 vittorie e una sola sconfitta.
Hanno superato momenti difficili, l’infortunio di Durant a inizio stagione quando ha saltato 20 partite, l’assenza di coach Steve Kerr, operato alla schiena che gli procurava dolori indicibili durante i playoff ma anche il fatto stesso di dover inserire nell’attacco di una squadra reduce da un titolo vinto e due finali un super giocatore come Durant. Avrebbe potuto far saltare tutti i meccanismi tecnici e mentali, invece li ha soltanto esaltati, portando i Warriors ad un livello di efficienza mai visto prima. In realtà, il merito non è solo di stelle non egoiste come Klay Thompson, il potenziale sacrificato principale in attacco dall’arrivo di KD, o di Andre Iguodala, mvp delle finali 2015, difensore meraviglioso, ma proprio di Durant. Non è un “isolazionista”, non è uno che vuole la palla ferma nelle sue mani, ama giocare con la squadra, dare fluidità al gioco. Certo, uno col suo talento in un attacco così sciolto diventa praticamente immarcabile.
Nonostante Steph Curry, straordinario motore e anima dell’attacco di Golden State, la finale del 2017 verrà ricordata come quella della sfida tra i due migliori giocatori di oggi al massimo della loro forza e maturità. Non solo per le cifre da brivido, ma anche per la qualità e superbia tecnica del loro gioco. Durant e James si erano già affrontati spettacolarmente nel 2012, quando vinse la Miami di LeBron contro Oklahoma City, e, nonostante le grandi prestazioni di allora, è quasi palpabile che siano ancora meglio oggi. E poi, c’è stato il plus: molto spesso le due superstar si sono trovate uno contro l’altro, faccia a faccia, una sfida diretta sul campo, che in altre straordinarie finali ricordate per la lotta tra grandi stelle ma non dello stesso ruolo, non c’erano state.
La loro storia è piuttosto simile: LeBron, in tre anni, aveva portato una derelitta Cleveland fino alla finale Nba del 2007 persa contro gli Spurs. Ma i successivi assalti erano andati male e nel 2010 era stato massacrato dalle critiche per il modo, oltre che per la sostanza, di aver scelto di lasciare i Cavs, lui nato a poche miglia di distanza da Cleveland, a Akron, cercandosi una squadra per vincere il titolo. Così è stato con Miami. Anche la corsa di Durant verso il titolo è stata lunga e faticosa: ha conquistato la finale dopo 5 anni di professionismo, nel 2012, elevando Oklahoma City dal fondo della classifica fino all’ultimo atto perso contro la Miami di James. E anche lui, dopo due sconfitte nelle finali di conference e un grave infortunio, la scorsa estate ha deciso di provare una nuova vita altrove, ai Warriors. Magari senza la mancanza di rispetto nei confronti dei tifosi, come fu nella famosa “The decision” di LeBron del 2010, ma comunque sollevando grandi critiche. “Potete parlare di quello che volete – ha detto dopo aver realizzato 39 punti nella gara decisiva per il titolo – ma nessuno ama e ci tiene al basket quanto me e lavora duramente quanto me. Potete parlare di tutto quello che accade fuori dal campo, ma dentro queste quattro linee io do il massimo ogni giorno. Lavoro duro, credo in me stesso, credo nel gioco, lo rispetto, lo amo e sapevo che prima o poi nella mia vita sarei stato ripagato cosi”. “Ho dato tutto quello che avevo in ognuna delle cinque partite” ha commentato LeBron. Si è visto, quando non è arrivato è perché il gioco dei Warriors, sempre così intenso, veloce, senza respiro, è quasi impossibile da sostenere se un giocatore ha le responsabilità ed è così coinvolto in ogni singola azione come LeBron, costretto a stare in campo 42’ a sera.
Per quanto sia impossibile fare paragoni col passato, credo sia davvero difficile trovare nella storia della Nba una squadra così forte e brillante in attacco, capace di giocare a ritmi altissimi e con un gran numero di possessi, ed altrettanto efficace in difesa come sono i neo campioni. Ed è il motivo per cui oggi non si vede all’orizzonte una squadra capace di batterli anche se, probabilmente, dovranno fare delle scelte difficili e dolorose perché la firma dei nuovi contratti di Durant e Curry, e la scadenza di quelli di Iguodala e Livingston, porterebbero Golden State a dover spendere ben oltre il salary cap. Ma una cosa è certa, qualsiasi cosa accada, troveranno ancora sulla loro strada LeBron James. Manca un anno esatto alla prossima finale, e la cosa sembra già scritta.
Luca Chiabotti