Il campionato di B e quello di Lega Pro hanno recentemente archiviato la storia della loro stagione con una straordinaria e imprevedibile coda. Tra i cadetti, il Benevento, che nella classifica finale del campionato aveva preso per i capelli l’accesso ai playoff, ha avuto ragione di tutte la favorite (tra le quali spiccava il Frosinone, sino all’ultimo in lotta per la promozione diretta) spuntando il terzo posto possibile dopo Spal e Verona. Altrettanto complessa, e esaltante, la cavalcata che ha portato il Parma al ritorno in B che era sfuggito, dopo la “regular season”, e ha invece conquistato dopo una sequenza di spareggi che l’ha portata sul podio.
E già, parliamo di playoff e di playout (sfida per non retrocedere di categoria) che da anni ormai determinano la griglia finale dei campionati, cadetto e semipro, che qui sono visti come un grande setaccio delle qualità dei competitori. E’ a questo esempio che la litigiosa lega di serie A, ancorata all’unico scopo di arraffare più denari dalla vendita alle televisioni dei propri format, dovrebbe pensare. Ma non pensa, perché se il calcio è ingessato, in Italia lo è ancora di più.
Il campionato di serie A è diventato uno spettacolo poverello, per il quale le televisioni non sono più disposte a versare una lira in più di ciò che è stato fatto in passato (vedi cosa è successo con la vendita dei diritti per i format dal 2018). Archiviata da tempo l’idea di scendere a 18 squadre (tutti pensano ai fatti propri e non alla qualità del prodotto calcio che si cerca di vendere), si tralasciano dinamiche nuove che facciano diventare un pochino più attraente il prodotto pallone.
Un’idea, appunto, potrebbe essere quella di mettere in atto anche in serie A i playoff e i playout. Ovvio che non si può pretendere che lo scudetto debba essere assegnato con una sfida a due, alla conclusione della stagione regolare, ma si può pensare, per esempio, a un playoff per la quarta squadra che dovrà entrare tra le magnifiche quattro della Champions League e a un playout tra la terz’ultima e la quart’ultima, per non retrocedere.
Qualcuno potrà sostenere che gli spareggi (andata e ritorno e promozione o retrocessione per la miglior classificata in caso di doppio pareggio) sono come una lotteria. In realtà rappresentano la migliore dimostrazione della capacità della singola squadra di programmare la propria stagione, con un obiettivo che caratterizza mentalità, condizione fisica, forza agonistica e tecnica. Lo spareggio avrebbe proprio lo scopo di eleggere la migliore, perché non è detto che la quarta sia meglio della quinta, in un campionato che spesso vive di episodi.
Sarebbe stato esaltante, per esempio, guardando i risultati dell’ultima stagione, uno spareggio tra Atalanta e Napoli per la terza piazza valida per la Champions o tra Empoli e Crotone per la terza retrocessa (anche se i calabresi vanno applauditi per la grande rimonta, costruita un po’ con lo spirito del playout).
Non è tanto la dinamica della classifica finale ad alimentare l’interesse dei playoff e playout, quanto l’ambizione di arrivare a un doppio spareggio per raggiungere il traguardo Champions o salvezza. Sicuramente le squadre avranno un obiettivo in più da raggiungere, qualche calcolo in meno da fare, una tensione emotiva un po’ più agguerrita rispetto a tante partite che vivono nello sbadiglio perché gli obiettivi sono raggiunti a poco più di due terzi del campionato. E se si avesse coraggio, si potrebbe anche allargare il campo dello spareggio, proprio come fa la serie B, a più squadre (terza, quarta, quinta o sesta). Credete che non si potrebbe fare?
Parlavamo di coraggio, ma non sembra che il calcio italiano ne abbia, perché mettersi in gioco è rischioso perché entra in discussione la capacità delle società di studiare il presente e il futuro secondo logiche industriali, piuttosto che logiche da casinò. Sembra quasi miracoloso che si sia portata avanti con velocità siderale (almeno per le logiche nazionali) l’istituzione della Var (Video Assistent Referee) che, se funzionasse, sgombrerà il campo a tante discussioni inutili e toglierà molti alibi, in un mondo agguerrito nel trovare gli errori altrui ma incapace di giudicare i propri.
E’ proprio questo modo di pensare che blocca l’idea di qualche passo avanti nella costruzione di un campionato che nasce, sin dalla compilazione del calendario, sotto l’ombrello dei lamentosi di professione. Proporre loro un playoff per la Champions o un playout per la retrocessione, scardinerebbe le cristallizzate convinzioni, la voglia di status quo, la difesa di un giocattolo che cercano di vendere per incassare il massimo, ma che mai una volta, in questi anni, hanno pensato di aggiustare. Anche con un’idea diversa da questa che, pertanto, rimane soltanto una provocazione.
Sergio Gavardi