Mats Wilander adora il tennis e adora essere l’opinionista di punta di Eurosport. Perché, anche quando non ha un microfono in mano, parla, parla e parla continuamente, soprattutto di tennis.
Mats, il tennis è sempre più uno sport per vecchi?
“No, è sempre più uno sport non per giovani. E non per colpa loro, ma perché non arrivano preparati al professionismo. Per cui, poi, quelli che amano davvero il gioco e si divertono, quelli che giocano davvero come vogliono, spiccano anche quando sono molto avanti negli anni e battono i più giovani”.
Se la colpa non è dei giocatori di chi è?
“Secondo me delle accademie che non preparano alla delicata transizione fra under 18 e professionismo, perché non insegnano a giocare i punti e la partita, ma solo a colpire la palla il più forte possibile. Ma non è la quantità a fare un tennista, piuttosto lo fa la qualità. Che oggi manca”.
E’ una questione tecnica, o filosofica?
“E’ una questione che ha una sola parola che assolutamente manca nel tennis di gran parte dei giocatori: passione. Io ce l’avevo, già a 17 anni, e a quell’età ce l’aveva anche Federer, la maturità atletica non c’entra, c’entra quella indispensabile spinta che fa raggiungere gli obiettivi. Motivandoci e cibandoci proprio della intima gioia di fare le cose che volevamo, come le volevamo. Mentre oggi giocano come devono, come gli dicono, senza sviluppare la propria personalità attraverso il gioco. Subiscono la situazione e giocano tutti uguale”.
Wimbledon ha smascherato questo tennis che ormai sembra solo questione di servizio e dritto, riproponendo gli artisti di ieri.
“Prima era il cemento a mostrare le lacune, adesso è l’erba, perché le condizioni di gioco diverse, dai movimenti ai rimbalzi alla propensione sempre offensiva, costringono a cambiare mentalità e ad uscire dallo schema. Devi pensare, come non succedeva quando c’erano più giocatori servizio-volée, anche loro monotematici, ora sull’erba non è affatto facile vincere. Devi conoscere e usare lo slice, devi variare il servizio, devi saper prendere la rete ed eseguire la volée, e vieni premiato se sei più completo. E se ami questo sport e lo interpreti seguendo le tue inclinazioni, come succede a Gilles Muller e Magdalena Ribarykova, per esempio. Per non parlare di Roger Federer”.
Federer s’è fermato due volte, Nadal l’ha dovuto molto più spesso, Murray e Djokovic si dovranno fermare: è un tennis anziano e coi cerotti.
“La normalità, nello sport, è l’infortunio, l’eccezionalità è stata avere tutte quelle semifinali Slam con quei fantastici quattro, Federer, Nadal Djokovic e Murray. Un po’ com’era stato quando c’era l’incredibile triade Connors-Borg-McEnroe. Adesso che le stelle saltano capiamo di più quanto siamo stati fortunati prima”.
Djokovic dice che è infortunato, però prima ha chiesto aiuto a un guru, poi ad Andre Agassi che avuto le sue crisi di identità e insieme all’amico Mario Ancic.
“Io non posso dire davvero quello che penso di Djokovic e di Murray. Novak, con un nuovo bambino in arrivo, dovrebbe forse chiudere la stagione qui e saltare il cemento americano, così magari rientra in Australia più forte di fisico e di testa. E’ infortunato al braccio? Anch’io, quand’ero numero 1 del mondo, avevo un problema fisico, qui, dentro la testa”.
Federer questi problemi non ce li ha. “Queste cose succedono agli esseri umani, e io sinceramente non so se davvero Roger è umano. Io credo che uno così non lo vedremo più”.
Vincenzo Martucci