Chiamatelo spionaggio. Chissà quante altre volte è successo e nessuno ne ha saputo niente Chissà quante volte succede tutti i giorni nel computer del nostro compagno di banco, in ufficio. Chissà quante altre volte succederà, e con quali sofisticati sistemi a noi sconosciuti. Di sicuro stavolta è esploso un bubbone che covava da tempo sotto le ceneri e i mitici Red Sox di Boston, quelli della squadra-simbolo della Major League di baseball, sono stati smascherati per aver decriptato con lo smartwatch i messaggi in codice sul campo dei tradizionali rivali, i New York Yankees.
Altro che intuizione, altro che riflessi straordinari, altro che supermen, altro che accurati studi a tavolino, altro che sofisticati calcoli delle probabilità. Un super-team tecnico analizzava in segreto, via video, da uno studio nello stadio, i dati della tradizionale messaggistica visuale del baseball – avete presente quelli che si scambiano ricevitore e lanciatore per dribblare la mazza del battitore? Ecco, quei segnali di fastball, breakingball, slider, change-uo, pitch-out e pick.ff, a seconda delle caratteristiche della palla lanciata, il super-team tecnologico li trasmetteva in tempo reale all’allenatore e ai giocatori in panchina. Ci sono due video che mostrano il secondo assistente atletico dei Red Sox, Jon Jochim, che osserva attentamente il suo Apple Watch, e subito dopo passa delle informazioni all’esterno Brock Holt e al seconda base Dustin Pedroia (all’epoca in panchina infortunato). Il quale trasmette col seconda base, sul campo, Chris Young, che, immediatamente, di concerto, dà le indicazioni giuste al battitore.
Fortunatamente, qualcuno – un cronista del New York Times – ha notato lo strano, frettoloso, conciliabolo. E, dopo l’indagine della Lega, è arrivata la confessione dei Red Sox, che sono però subito passati dalla difesa all’attacco, denunciando gli Yankees di aver spiato a loro volta i loro schemi utilizzando il proprio network televisivo, Yes Network TV. Ovviamente questi negano ogni addebito. Ma non hanno evitato l’apertura di un nuova indagine da parte del commissioner della Lega.
Di sicuro la tecnologia, che è comparsa l’anno scorso nella MLB, con un accordo pluriennale con la Apple, è già andata oltre ogni aspettativa. Anzi, ha deviato dallo scopo principale di informare gli appassionati fornendo loro maggiori e più accurate informazioni. E di sicuro, lo spionaggio riguardo i segnali del baseball non è una storia nuova. Infatti il regolamento che non vieta di spiare i segnali avversari ma vieta binocoli e apparecchi elettronici sia in campo che in panchina non ha mai risolto davvero il problema. Infatti, nel 2001, un altro giornalista, Joshua Harris Prager, rivelò che già nel 1951 i New York Giants avevano elaborato un sistema di decodificazione dei segnali, leggendoli con un telescopio e trasmettendoli alla squadra con un ingegnoso sistema acustico. Che poi si è riproposto uguale uguale coi Philadelphia Phillies nel 2011. Mentre, nel 1997, i Mets, i rivali di New York degli Yankees, hanno negato di aver installato mini telecamere nell’area di battuta e se la sono cavati col beneficio del dubbio. Che è uno dei cancri peggiori, e inguaribili, della vita e dello sport.
Anche se schiere di avvocati si sono già buttati sulla preda per definire a che livello e se davvero gli Apple Watch hanno falsato il risultato sportivo, secondo alcuni siamo già oltre: gli spioni sono nell’aria, magari sembrano insetti, ma sono droni.
Vincenzo Martucci