Eccoci di nuovo, davanti al gradino sul quale non riusciamo a salire da 14 anni… L’Italia del basket ha raggiunto i quarti di finale dell’Europeo, risultato logico ma non scontato, e affronta la Serbia di Sasha Djordjevic, favorita dalla storia e dell’abitudine a vincere ma non invincibile per le gravi e prestigiose assenze. Negli ottavi contro la Finlandia, gli azzurri hanno trovato quello che spesso era loro mancato: i tre leader per livello della loro esperienza internazionale e presenze in azzurro, Marco Belinelli, Gigi Datome e Nicolo Melli, che assieme, e non a turno, hanno schiantato i finlandesi fin dal primo quarto, stellare al tiro. Vero che la Finlandia era più debole, ma il compito di chi ha un ruolo di primo piano in una squadra è proprio quello di rendere facili partite che, altrimenti, potrebbero diventare difficili, quando poi l’ansia cresce e i tiri non entrano.
Il clima di giusta euforia e consapevolezza di un gruppo che si è appena ritrovato dopo le difficoltà della preparazione e del girone eliminatorio ora deve esprimersi in campo: è dall’Olimpiade di Atene del 2004 che l’Italia non riesce a vincere una sfida decisiva contro un’avversaria di alto livello. Questo gruppo, la nostra “golden generation Nba”, ha sempre fallito. E’ per questo che è stato chiamato Ettore Messina. Anzi era stato rieletto c.t. per portarci all’Olimpiade, ma senza il tempo di lavorare e con troppi lacciuoli con un passato mai davvero analizzato e chiarito. Già nel 1993, Ettore era partito male in Nazionale, per gli stessi motivi. Lasciando, però, la carica con una medaglia d’argento. Anche oggi il suo contratto finirà dopo l’Europeo, dopo solo 2 anni. Ma la chiamata non è solo per lui ma per una intera generazione davanti, probabilmente per l’ultima volta, all’occasione di vincere qualcosa (Belinelli ha già dichiarato che potrebbe essere il suo canto del cigno in azzurro, Datome avrà 34 anni il prossimo europeo). L’allenatore più vincente della nostra storia ha dimostrato personalità nelle scelte (Bargnani e Gentile a casa: anche Hackett ha perso la stagione per infortuni, ed invece c’è), capacità nel cambiare le priorità tecniche della squadra dopo l’autoesclusione di Danilo Gallinari, umiltà nel richiamare Marco Cusin dopo averlo tagliato per Riccardo Cervi, cosa mai accaduta in azzurro. Ma non c’erano dubbi anche se la difficoltà della squadra a digerire il suo attacco potevano lasciare perplessi.
Perdere con la Serbia non sarà nulla di scandaloso e potremo archiviare comunque come positiva questa esperienza. Ma così sarebbe la solita Italia. Anche nel 2013 (senza Gallinari e Bargnani) e nel 2015 (praticamente senza Datome), Simone Pianigiani arrivò ai quarti e ce la siamo giocata alla pari con la Lituania, poi perdendo. La differenza nel lavoro di Messina e della squadra sarà, per la prima volta, ridare all’Italia il gusto della grande impresa. Come dice Djordjevic, le assenze non sono situazioni che una grande squadra debba tenere in considerazione, se vuol essere una grande squadra, le ambizioni non devono cambiare anche se, come nel caso dei serbi, mancano il miglior giocatore d’Europa, Milos Teodosic e, due nomi tra i tanti, Nemanja Bjelica e Nikola Jokic ormai stella Nba. E’ brutto dirlo, ma le assenze di Gallinari e Gentile hanno reso la squadra più compatta e “chiara”, soprattutto fuori campo. Del resto la mancanza assoluta di vicinanza alla squadra da parte di Danilo dopo l’infortunio, fa capire tante cose.
Continuiamo a dare favorita la Serbia che sotto canestro, con i 221 cm di Boban Marianovic e i 213 di Ognjen Kuzmic è inarrivabile per noi. Né basterà un quarto miracoloso al tiro da tre, come contro la Finlandia, per mettere al sicuro il risultato. Non basterà neppure produrre il massimo potenziale per 20’, limite oltre il quale questa Nazionale non è mai riuscita a esprimersi. Quanto è stata abusata la parola “impresa” negli ultimi anni anche per partitelle del piffero? Ecco, contro la Serbia ci vuole proprio quella, per rivalutare una generazione, per chiudere un ciclo di alte potenzialità tecniche che con l’addio di Messina sarà inevitabile.
Luca Chiabotti