Un giorno scopriremo che gli antichi filosofi greci, camminando e disquisendo per ore e ore, appena potevano, qua e là, colpivano una ghianda con un bastone. E, senza saperlo, aprivano la strada anche al golf. Non a quello sportivo, super-professionistico, della Ryder Cup, ma a quello del week-end e dei ritagli di tempo dell’uomo comune, delle occasioni all’aria aperta per gli affari che hanno sostituito i famosi pranzi ad hoc, delle Onlus straordinariamente toccanti come quella organizzata dalla solare signora Isabella Brambilla per sostenere il Crep (centro ricerche per le epilessia in età pediatrica) e alleviare, se non risolvere ancora, i misteri della Sindrome di Dravet, il male terribile che attanaglia il terzo figlio. Tanto che “In buca con un sorriso” è un happening irresistibile, nel paradiso del Gardagolf – la Augusta italiana – con ex calciatori (Massaro e Dossena), telecronisti (Grappasonni, Bonan, Lupi), intrattenitori (Staffelli), appassionati più o meno Vip, tutti comunque amici di lunga data felici di ritrovarsi per il settimo anno consecutivo al richiamo della mamma più mamma del golf, Francesca Manassero, e dal suo amatissimo Matteo, “il bambino d’oro” de noartri. Che cattura tanti golfisti professionisti (Binaghi, Colombo, Grappasonni, Tadini, Maestromi, Bisazza, Zappa, Viganò, Baruffaldi) nella nutritissima Pro Am a 23 squadre (92 concorrenti!), vinta, per la cronaca, dalla squadra di Federico Colombo, Ieraci-Governo-Botta nel lordo, e di Hassan Akim, Rink-Rink-Lange nel netto.
L’ultima volta che avevamo trascorso una giornata intera con Matteo era stato nel 2009: aveva 16 anni, andava ancora a scuola e ci aveva aperto la casa del più giovane vincitore del British Open Amateur, promosso all’Open Championship, dove aveva superato il taglio con tanto di prestigiosa Golden Medal come miglior dilettante, 13° nella classifica finale. Poi è rimasto 18 settimane numero 1 mondiale della categoria,
ha battuto il record di più giovane a passare il taglio al Masters di Augusta e, prima ancora dei 17 anni, è passato professionista. Dove, nel 2010, ha vinto la prima tappa European Tour al Castelló di Valencia (ancora da più giovane campione del circuito), è arrivato secondo all’UBS Hong Kong Open, prendendosi il titolo di miglior Rookie dell’anno. Nel 2011, non ancora 18enne, ha fatto il bis sul Tour europeo al Malaysian Open accaparrandosi il primo ed il secondo posto nella classifica dei più giovani vincitori. E nel 2012, imponendosi al Barclays Singapore Open, è diventato il primo teenagers a firmare tre Open, finendo l’anno tredicesimo nell’ordine di Merito. E poi conquistando nel 2013 il suo torneo più importante, il BMW PGA Championship con un birdie allo spareggio, entrando nei primi 30 della World Ranking (11° nell’Ordine di merito). Ma, dopo il quarto posto all’Aberdeen Asset Management Scottish Open 2014, la stella di “Manny” si è spenta, via via, fino a scendere addirittura al 167° posto fra i pro europei. Si è riaccesa vincendo il BMW PGA Championship 2013, e poi è tornata a sopire sotto la cenere. A 23 anni, dopo aver mancato addirittura 15 tagli da maggio 2015 a febbraio 2016, “Matte” poteva già considerarsi finito?
A 24 anni, il ragazzo di Negrar, che sta tornando ad essere il portabandiera socio del circolo Gardagolf dopo la parentesi a Monticello, ha ritrovato il famoso sorriso che conquista: “Quest’anno è cominciato bene, poi ho giocato male d’estate, ma ora sento che sono nelle condizioni giuste, di nuovo. E, se mi capitasse l’occasione, sarei in grado di prenderla”. Non ha messo su un disco per allontanare i rompiscatole, le domande, le faccine di scherno, “Matte” sente davvero che la crisi è passata e lo comunica continuamente ai compagni di giornata, indicandogli la linea giusta aggiustandogli swing, posizione di gambe e braccia, suggerendogli ferri, parlando di cavi elettrici come di abbigliamento e del sempre amatissimo Milan. Mario, Lele ed Alessandro, un imprenditore dei cavi elettrici, il socio nella ditta d’abbigliamento di Alessandro Del Piero e una delle voci del golf alla tv lo seguono ammaliati nella Pro Am per beneficienza, come Edoardo di anni 9, premiato come caddy di giornata del campione per il suo handicap di 8.5.
Cammin facendo, la nostra mente torna indietro nel tempo, a quando Matte era Manny e faceva prodigi, sul green. “E’ rimasto tutto come prima, stesso maestro (Binaghi), perché Alberto sa cosa fa, mi conosce benissimo e ha anche imparato chiedendo ad altri maestri. Stesso preparatore atletico, Massimo Messina. Eppoi mamma”. I suoi problemi, all’inizio della crisi, venivano dal drive troppo corto, ora sembrano nel putt troppo falloso, com una coperta che tiri di qua e di là e rimane sempre corta: “Non ho problemi tecnici, la questione è la fiducia, infatti ultimamente putto meglio”. Adesso come allora, quando sembrava il sosia di Harry Poter, Manassero sbaglia sempre i colpi più facili e tira fuori miracoli da quelli difficili, come uno studente svogliato. Gli approcci migliori, per lui, sono dal bunker più defilato, dal rough senza visuale, addirittura nascosto nel bosco, in basso, con la buca a 150 metri, e i putt che meritano il suo tocco sono quelli per il birdie da 8 metri! “Uno psicologo? No, non ci credo, e se non ci credi è come la religione.… Niente psicologo, non ne ho mai sentito il bisogno, eppoi c’è Alberto che un po’ svolge quel ruolo. Alla fine, tanto, il problema lo devi risolvere sempre tu, nella testa, c’è qualche atleta che ha bisogno di chi gli dica certe cose, io no. Io avevo bisogno di serenità, di maturazione, di equilibrio. Ognuno è fatto in un modo, io evito la pastasciutta in gara perché mi appesantisce, mentre posso mangiare un chilo e mezza di bistecca fiorentina e non mi fa niente. Ma non sono certo vegetariano, mangio tutto”.
Il problema di Matteo Manassero, in uno sport del massimo equilibrio come il golf, è un problema immenso: “Avevo pensieri solo negativi, ero inibito, dovevo transitare per un periodo di maturazione e trovare la soluzione, ragionare sui casi, valutare solo i miei punti di forza, reagire sotto pressione. Sono spavaldo? Sì, voglio primeggiare e voglio togliermi delle soddisfazioni, non sono più inibito dall’obiettivo, sono più sereno anche nella sfera privata, anche grazie a Francesca, la ragazza con la quale sto da un anno: in fondo trasporti in campo anche quello, ti carica a fare meglio e se non va bene il risultato ti dà equilibrio nel fuori gara, nella vita”. Matteo, Matteo, come risolvere quel problemino delle cose facili che non ti riescono? “Nelle difficili c’entra più il talento del ragionamento, nelle facili magari strafai, magari perché senti ancor più pressione. E’ un po’ come il tennista che sbaglia la volée sul net e poi magari ne fa una, fra virgolette, impossibile: perché? A parte che si può sempre sbagliare, è umano, il problema lo risolvi meglio se hai una base tecnica molto solida, per cui vai un po’ in automatico coi colpi facili. E comunque, sinceramente, fa piacere sentirsi dire che sai fare le cose più difficili, spero che non smettano mai di dirmelo”.
Coraggio, Manny, che una volta non leggevi e ora ti appassioni a storie segrete, mai scritte veramente, come la tua. Si riparte da Newcastle, dal numero 96 della Race to Dubai.
Vincenzo Martucci