Che tipo di maestro è un ex numero 1 del mondo come Moya?
“Uno che vuole trasmettere la propria esperienza, perché per esprimersi al meglio un giocatore deve mettere assieme tante cose. L’insegnamento è molto personale, individuale, non c’è un sistema valido per tutti, è l’allenatore che deve adattarsi totalmente al suo giocatore”.
Che cosa si intende per scuola spagnola?
“Si sta evolvendo, prima era quasi tutta sulla terra rossa, ora è un po’ diversa, è più moderna, valida per tutte le superfici. E quindi non è solo lotta, tattica, disciplina”.
Credo che il segreto per cui il tennis europeo ha più giocatori fra i top ten sia la palestra sulla terra?
“Sicuramente la terra insegna maggiormente a costruire il punto e impone un bagaglio tecnico più completo, ma anche il cemento ha le ue buone caratteristiche: come per tutte le cose, bisogna cercare l’equilibrio”.
Come sarà il suo 2018?
“Continuerò qualche settimana a viaggiare con Rafa, per i tornei, e starò all’Accademia con lui quando è a Maiorca, anche per selezionare allenatori e specialisti utili”.
E fra cinque anni, quando Rafa avrà smesso, magari, Moya seguirà un altro giocatore?
“Il futuro non lo conosce nessuno. Non pensavo che avrei allenato Rafa, non credo che allenerò altri in giro per il mondo. Almeno così la penso oggi. Non possiamo sottostimare il talento e la capacità di migliorare di Rafa . Per me non c’è ragione di non pensare che possa ancora restare molti anni sul Tour. Una leggenda come lui, uno dei più forti di sempre, con tutto quello che ha vinto, a sempre trovare nuove sfide. E’ molto competitivo, chiede sempre tanto a se stesso: da questo e dalla voglia di migliorarsi troverà sempre nuove motivazioni per restare competitivo e lottare ancora”.
Che cosa può dare Moya a Rafa?
“Beh, intanto, il nostro rapporto parte da una grande e lunga amicizia. Abbiamo diviso tante cose dentro e fuori del campo. Con qualcun altro questo sarebbe estate magari un problema, da allenatore, ma con uno responsabile e maturo come Rafa non c’è problema. Sappiamo perfettamente che cosa chiediamo l’uno all’altro e sono io, comunque, che imparo da lui, guardando, giorno dopo giorno, un simile campione. E’ il mio secondo anno da coach, cerco di essere aperto, di imparare: l’anno scorso da Ronic, ora da Rafa. Anche se lo conosco molto bene ci sono sempre cose che puoi conoscere meglio”.
Che cosa ha apportato di nuovo nella routine di Rafa, dopo una vita con lo zio Toni?
“Facciamo allenamenti più brevi e intensi, ma più specifici, più mirati a ceri colpi e situazioni di gioco”.
Qual è l’indicazione-base che dà a Rafa prima di un match?
“Essere aggressivo e insieme solido da fondo campo”.
Da numero 1 a numero 1, da marocchino a maiorchino, che cosa la affascina di più del Rafa-tennista?
“Si batte sempre nella maniera migliore, mantiene l’atteggiamento giusto in campo anche nelle giornate più storte, così, mettendosi continuamente, di nuovo, alla prova, prende sempre più fiducia e anche quando non gioca bene trova comunque il modo di vincere. Che è una caratteristica dei grandi giocatori. Ma, soprattutto, mi affascina il modo in cui, in campo, riesce a rovesciare le situazioni, anche le più difficili, portandole a suo favore. Eppoi ammiro la mentalità che ha, l’attitudine di chi non molla mai, una caratteristica che vedi raramente in tutti gli altri giocatori”.
Sinceramente, si attendeva un simile 2017 di Rafa?
“Speravo che facesse qualcosa del genere. Non sapevo che cosa, non immaginavo così tanto, ma sapevo che con lo spirito che ha e la grande voglia di sacrificio speravo che recuperasse il suo gioco e che quindi facesse qualcosa del genere. Ero fiducioso. Grande motivazione e zero infortuni ed ecco il suo fantastico 2017”.
E’ stato più eclatante il decimo trionfo al Roland Garros o il quarto agli Us Open?
“Sono state tutt’e due importantissime: la decima per la decima, gli Us Open perché fuori dalla terra battuta erano quattro anni che non vinceva uno Slam”.
Vista con gli occhi di chi ha vinto un Roland Garros, nel 1998, cono sono i dieci di Rafa?
“Straordinari, incredibili, irripetibili. Già quando giocavo e guardavo ai sei di Borg pensavo che era qualcosa fuori da questo mondo, poi ci sono stati i tre di Kuerten, e li vedevo come incredibilmente difficili, ma penso proprio che i dieci di Rafa non saranno battibili”.
Il Masters è l’unico buco nero nell’incredibile bacheca di Rafa, che anche stavolta ci arriva infortunato.
“Sapevamo già che le cose non sarebbero state facili, trattandosi dell’ultimo torneo dell’anno, un lungo anno per tutti, sta giocando bene, ma ha già raggiunto grandissimi traguardi, l’importante era arrivarci senza stress. Lui, ovviamente, vuole vincere ma ha anche imparato ad ascoltare più di prima il suo corpo. Fosse stato un torneo all’inizio dell’anno probabilmente non avrebbe giocato, ma trattandosi dell’ultimo, del Masters che non ha mai vinto… Non so perché, gli altri anni non c’ero, cercherò di capire”.
Chi le piace di più fra gli 8 delle finali NextGen?
“Shapovalov è un’incognita ma è quello che si distingue un po’, Zverev ha una consistenza importante, ma Shapovalov, come anche Tsitsipas, è meno completo e formato ma è uno di grande potenziale”.
Sarà un tennis sempre più fisico, rispetto al suo tennis.
“Certo, il livello medio poi è molto più preparato di venti anni fa, grazie anche ai materiali. Anche se, per fortuna, c’è sempre spazio per la strategia e la tattica, chi tira più forte non è detto che vinca sempre”.
Curioso: Murray e Djokovic non hanno vinto più, eppure erano stati i dominatori del 2016.
“Mi sono sorpreso anch’io, soprattutto per come era stata serrata la battaglia per il numero 1 a fine anno. Ma è la conferma che i giocatori non sono macchine, non sono robot. Penso che tornano, hanno vissuto una situazione simile a quella di Federe e Nadal l’anno scorso, hanno avuto un p’ di tempo per pensare, torneranno più freschi e saranno pericolosi di nuovo”.
E Carlos Moya, quando si guarda la mattina allo specchio che bilancio fa del suo tennis?
“Non ho rimpianti, non mi faccio tante domande su quello che potevo o dovevo fare e sul perché non l’ho fatto, tornando indietro ai miei 20 anni, avrei commesso magari altri errori, diversi. Alla fine, il bilancio è positivo, mi è andata bene”.
VINCENZO MARTUCCI