La sconfitta del grande Roger Federer contro il piccolo belga, sul veloce indoor della O2 Arena di Londra, al Masters, la gara fra i migliori 8 dell’anno nella quale il Magnifico ha giocato 14 semifinali su 15, raggiungendo 10 volte la finale ed aggiudicandosene 6 – più di tutti -, non ci sta proprio. Non parliamo da tifosi, e nemmeno da esteti ed amanti del gesto tecnico sopraffino dello svizzero. E non ci basiamo solo sui precedenti, perché sappiamo che non fanno poi legge. Sono indicativi, sono psicologicamente e tecnicamente importanti, sono anche decisivi, ma non da soli. Altrimenti, certe sfide, con un pregresso così schiacciante come quello di Federer con Goffin, non si giocherebbero. Ed è bello e giusto ed affascinante che Goffin abbia abbattuto il totem Federer dopo sei schiaffi in altrettanti duelli, nei quali aveva raccolto appena due set. Ed è altrettanto curioso che ci riesca dopo aver smascherato a Londra l’ennesima versione di Rafa Nadal spremuto e infortunato di fine stagione, peraltro già appagatissimo dalla conquista di due Slam e dal primo posto in classifica con cui chiude l’anno. Elimanare il numero 1 e il numero 2 del mondo è già di per sé un evento eccezionale, riuscirci al Masters e contro Nadal e Federer, questi ritrovati Nadal e Federer al massimo livello del 2017, è ancora più eccezionale. Infatti è il primo a piegare i primi due della classifica al Masters, da Nikolay Davydenko nel 2009 (sempre Nadal e Federer, che all’epoca erano 2 e 1 del mondo), ed è appena il sesto a superare nello stesso torneo i rivali più famosi dello sport, il primo da Novak Djokovic sempre al Masters 2015. Peraltro stoppando Re Roger che sembrava ormai inarrestabile nel torneo col quale chiude un anno che lui stesso definisce straordinario dopo il volontario esilio del 2016, ma che poteva concludere col botto, grazie alla concomitante assenza degli altri Fab Four: quella fresca di Nadal appunto, e quella già nota dei convalescenti Djokovic e Murray.
Non ci sta nemmeno il modo col quale Goffin ha sovvertito clamorosamente il pronostico dopo aver ammesso lui stesso, alla vigilia: “Non so proprio come fare per battere Roger”. Sulla scia del nettissimo 6-1 6-2 che aveva rimediato un mesetto fa nelle semifinali di Basilea. Sarebbe stato più comprensibile un risultato con un paio di tie-break, fotografia di un’aspra battaglia, o un punteggio più netto, sinonimo di problemi fisici o di una giornata no, come gli capitano alla sua veneranda età, ma questo 2-6 6-4 6-4, sa soprattutto di poco. Perché insipida e molle è stata la prestazione di Federer, a cominciare dl suo incredibile servizio stavolta assolutamente fiacco e improduttivo. Una prestazione davvero inspiegabile al “suo” Masters, nell’ultima gara della stagione, con la possibilità di chiudere l’anno a 100 punti appena dal primo posto in classifica del rivale di sempre. Una prestazione ancor più inspiegabile dopo il primo set, vinto senza tanti sforzi. Cui ha fatto seguito un black out di tre games.
Ci sta che a fine gara lo sconfitto abbracci lo sconfitto, e ci sta pure che, apprezzandolo come uomo e come tennista, sia sinceramente contento per lui. Sapendo peraltro di essere il suo idolo di sempre. Ma questa dolcezza da buon papà, trasferito nello sport agonistico, rappresenta sicuramente una forma di debolezza per un campione a caccia di nuovi successi. Come si era già captato nelle precedenti partite di Londra dove Federer è ricaduto nei difetti del passato, diciamo di quando non l’allenava Ivan Ljubicic, quando giocava solo d’istinto, in attesa del tappeto volante della sua immensa classe. Assolutamente passivo, come un pendolare attende il suo treno. Cosa che, però, non basta. Così come non sono ammissibili le pennichelle di concentrazione, di intensità, di voglia, di cattiveria agonistica che quest’ultimo Federer si è concesso. Pause che, rimanendo sempre attivato di testa e di gambe, sempre propositivo ed offensivo, aveva annullato contro Rafa Nadal colmando così le clamorose lacune psicologiche nei confronti del rivale di sempre.
Evidentemente, però, la seconda parte della stagione, il post-Wimbledon trionfale, è sfuggito dalle mani di Ljubicic, a partire della decisione di giocare Montreal, pregiudicando la routine pre-Us Open. E, da lì, tutto è andato un po’ a rotoli, compreso il Masters, che, mentalmente, Federer non era pronto a giocare. Aveva la testa già alle due settimane di vacanze senza tennis con moglie e figli. E, certo, non può vincere tutti i tornei ai quali si iscrive, non può battere sempre tutti gli avversari che incontra ed è giusto che lasci spazio anche agli altri. Figuriamoci. Ma, cedendo a Goffin, cedendogli così, ha guastato un po’ la bella torta che aveva confezionato quest’anno, ha dato di nuovo l’impressione di mancare un’occasione. Per il semplice fatto che non l’ha desiderata abbastanza, non come il suo avversario. E, con Djokovic e Murray al rientro e Nadal che difende il primato in classifica, non è proprio l’attitudine ideale.
VINCENZO MARTUCCI