La bomba è scoppiata stamattina: “L’Uci conferma di aver notificato al corridore britannico Christopher Froome un Risultato di Analisi Anomalo (RAA) per la presenza di Salbutamolo in concentrazione superiore a 1000ng/ml in un campione raccolto nel corso della Vuelta a España il 7 settembre scorso. Il corridore è stato informato di questo risultato il 20 settembre 2017”. Analisi, positiva. Controanalisi, positiva. L’annuncio, dovuto. La sospensione provvisoria, non prevista per questo genere di farmaco.
Il kenyano bianco, il vincitore di quattro Tour de France e una Vuelta (con la doppietta nel 2017, da ripetere nel 2018, ma con il Giro d’Italia oltre al Tour), è finito anche lui nel ciclone del doping. Il Salbutamolo è un broncodilatatore, indicato per gli asmatici (e infatti Froome, e lo ha confermato la sua squadra, la britannica Sky, sostiene di soffrire di asma fin dall’infanzia) e per chi soffre di broncospasmi da sforzo (e chi non li ha, quando si va oltre i propri limiti), ma è indicato nelle sostanze proibite sia fra gli stimolanti sia fra gli anabolizzanti. Il limite fissato dalla Federciclo internazionale è di mille nanogrammi/millilitro, pari a 16 “puff” dello spray: oltre questa quantità, viene considerato non più un uso terapeutico, ma dopante, perché aiuta ad aumentare la massa muscolare e, nello stesso tempo, ad asciugare il corpo. Ma non è tutto: il Salbutamolo serve anche a mascherare l’uso di altre sostanze proibite.
Non è una novità, il Salbutamolo, nella maledetta farmacia dello sport. Con la stessa sostanza assunta in dosi massicce (ma inferiori a quelle di Froome), e con la stessa scusa dell’asma dichiarata nelle tesi difensive, ci sono stati – per dirne due – i casi di Alessandro Petacchi (un anno di squalifica) e Diego Ulissi (nove mesi), con la cancellazione delle vittorie ottenute nel periodo considerato in base al controllo antidoping. E sempre con la stessa sostanza, e con la stessa scusa, ci furono – per dirne altri due – anche i casi di Miguel Indurain e Oscar Pereiro (che però se la cavarono senza squalifiche). Per Froome si può immaginare la cancellazione della vittoria nella Vuelta (a favore di Vincenzo Nibali, giunto secondo) e di un periodo di squalifica che metterebbe a rischio i suoi programmi agonistici (il Giro si correrà in maggio, il Tour in luglio).
Froome non era, e non è, al di sopra di ogni sospetto. Lo ricordiamo quando faceva fatica ad arrivare in fondo alle corse, quando venne espulso dal Giro d’Italia del 2010 per traino in salita, quando improvvisamente alla Vuelta del 2011 supera addirittura il suo capitano Brad Wiggins e sale al secondo posto della classifica finale. Proprio in salita, le sue frullate – un’altissima frequenza di pedalate – sono diventate un marchio di fabbrica irripetibile, inimitabile e, soprattutto, imprendibile. Froome non era, e non è, al di sopra di ogni sospetto anche per le pratiche della sua squadra, la Sky, che non ha mai chiarito fino in fondo contatti pericolosi e traffici sospetti di sostanze proibite, che coinvolgevano lo stesso Wiggins, a fronte di dichiarazioni prefabbricate o silenzi imbarazzati e imbarazzanti. Ma finora i controlli antidoping avevano dato esito negativo.
Non è solo il ciclismo a non avere pace. Lo è lo sport in generale. Siamo ancora in attesa di conoscere il risultato della prova del Dna per Alex Schwazer, il marciatore altoatesino campione all’Olimpiade di Pechino nel 2008, poi trovato due volte positivo, la prima alla vigilia dell’Olimpiade di Londra 2012, la seconda in un controllo a sorpresa il primo gennaio 2016. Ma se la prima volta Schwazer si era dopato, la seconda volta –ci sono buoni motivi per sostenerlo – era dopato il controllo, perché Schwazer, grazie alla collaborazione con il maestro dello sport Sandro Donati, grande accusatore del sistema doping, era riuscito a dimostrare che lo sport della purezza è più forte dello sport del doping (e “Lo sport del doping” è il titolo di un libro di Donati su chi lo subisce e chi lo combatte). Come dire che il doping lo si combatte a parole incrociate, non a bonifici bancari o a carriere politiche.
Il doping, oggi, sta dovunque: nelle speculazioni finanziarie, nelle dichiarazioni fiscali, perfino nei titoli dei giornali. Non solo il ciclismo, ma tutto lo sport potrebbe esistere e resistere senza doping: basterebbe andare – tutti – un po’ più piano, a quella velocità permessa dalla natura di ciascuno di noi. Il doping deve essere combattuto non solo nelle agenzie dedicate ai test, ma anche nelle scuole e nelle squadre, fra gli allenatori e i genitori, con la storia e la cultura. Finché il doping è dentro di noi – e non c’è bisogno di antidoping per scoprirlo, sarebbe sufficiente un esame di coscienza -, Froome non è uno scandalo: si è soltanto adeguato.
Marco Pastonesi