Senza offesa, ci sono sport più facili del tennis. Di sicuro meno complicati da così tante imprevedibili e incontrollabili variabili. Tutti, certo, hanno in comune fattori mentali, fisici e tecnici, tutti necessitano di continuità, abnegazione, testardaggine. Moltissimi si decidono per un nonnulla, un soffio di vento, un millesimo di secondo in più o in meno, una mezza cunetta, uno spicchio di sole, un granulo di ghiaccio, un mini avvallamento, eccetera, eccetera. Frammenti di fortuna che valgono il mezzo net o l’ombra di riga del famoso rettangolo delle racchette. Ma nel tennis c’è di più. Altrimenti non ci sarebbero così tanti eroi terribilmente dannati. Pensiamo solo a quali e quante sfaccettature psicodrammatiche sono emerse dalla più fortunata delle biografie sportive, Open, mentre spogliava di tutti i suoi segreti Andre Agassi anche davanti al grande pubblico. Pensiamo a tutti i grandi campioni di ieri, da Tilden alla Lenglen, da Borg a McEnroe, da Connors a Lendl, da Becker a Graf, da Navratilova a Mauresmo, da Sharapova a Williams. Sono sempre personaggi dalle mille sfaccettature, con angosce interiori più o meno profonde come i loro percorsi, con lavori in corso, errori, ripartenza ed immensi punti interrogativi. Campioni che sarebbero finiti nella tela dei più grandi impressionisti ma che sono stati comunque fortunati. A differenza di altri, come gli ultimi che ci propone la cronaca.
Parliamo di Marion Bartoli, che ha sperimentato le più strampalate teorie d’allenamento – via papà, ex medico -, che è sembrata paurosamente infelice per anni e anni con la racchetta in pugno, che ha vinto un primo, incredibile, unico titolo dello Slam a Wimbledon, quando oramai nessuno pensa più che potesse raggiungere l’acme, che si è ritirata frettolosamente il giorno dopo, che è scaduta nell’anoressia, e che s’è appena ripresentata annunciando il ritorno a marzo a Miami. Parliamo di Vika Azarenka, l’ultimo clamoroso clone di Maria Sharapova, l’ultima che ha contrastato di muscoli Serena Williams, che è sparita dalla scena per diventare mamma ma che assolutamente non riesce a tornare a giocare perché non può staccarsi fisicamente dal piccolo Leo, ingolfata in una micidiale causa legale di affidamento. Parliamo di Petra Kvitova, l’ultima autentica erede di Martina Navratilova, della genìa cecoslovacca, che dopo due urrà a Wimbledon e troppe titubanze, sta acquisendo di nuovo il piacere del tennis solo sulla scia della drammatica aggressione del dicembre di un anno fa a casa sua, quando si ferì gravemente alla preziosa mano sinistra per difendersi da un coltello alla gola.
Parliamo dei tanti infortunati Vip, da Djokovic (sta davvero così bene come sbandiera ai quattro venti?) a Murray (sta davvero tanto male da saltare gli Australian Open?), da Wawrinka (ha appena rinunciato al primo torneo dell’anno), a Raonic (come sopra), a Nishikori (si è già fermato altre due volte), tutti dispersi nel guado, dopo mesi senza tennis, tanta fisioterapia e troppi dubbi: quando rientreranno, e come? Al gruppetto si è appena aggiunto Rafa Nadal, il malato cronico, il Lazzaro che si rialza continuamente e arriva sempre ad altezze ancor più siderali, fino addirittura a risalire al numero 1 del mondo come l’anno scorso, che è rimasto ancora bloccato dalle ginocchia cronicamente disastrate. Ed ha una paura blu di un altro periodo buio, almeno come l’eterno nemico, Roger Federer. Che sta trascorrendo gli ultimi giorni dell’anno chiedendosi angosciato: potrò mai confermarmi ai livello inattesi del 2017?
Ma non è finita. Quanto dannate sono le gemelle di Francia, Mladenovic e Garcia, ex amiche e compagne di doppio, terribilmente infelici, spendo che possono ritrovarsi soltanto in quella Fed Cup che le ha divise? L’una riapre uno spiraglio all’altra, che però ha chiuso l’anno meglio e vuol riportare uno Slam per prima sull’altare dello sciovinismo di Francia. Parliamo di Venus Williams, la brava, la sensibile, la intelligente, che è stata appena assolta dall’angosciosa accusa di omicidio in un incidente stradale. Parliamo di Maria Sharapova cui non bastano altri milioni di dollari di pubblicità, altra notorietà, altre comparsate, ma ha solo bisogno di un altro eclatante successo agonistico per riscattare la macchia del doping. Quanto impaurite sono, tutte, dal rientro – il 30 dicembre ad Abu Dhabi – della regina Serena Williams che a gennaio ha rivinto, già incinta, gli Australian Open? E quanto preoccupata è anche lei, che per una vita ha sofferto più la forma delle rivali?
Poveri eroi del tennis.
Vincenzo Martucci