Je suis Jean Paul Calvaresé. Nessuno ha colto la fantastica ribellione umana dell’arbitro anti-Var. Come in una splendida canzone di Francesco Guccini, dedicata ai mesi. Un verso dice: “Non so se tutti hanno capito, ottobre / la tua grande bellezza”. Eh, no, non tutti hanno capito la bellezza del gesto del fischietto di Teramo, che in Cagliari-Juve non si è curato del fallo di Benatia su Pavoletti (anche perché il Cagliari ha proseguito l’azione, vantaggio) e non ha battuto ciglio, né preso il telecomando per rivedere il braccio galeotto di Bernardeschi. Mi esalta il processo alla Var. Rivedere in tv un presidente che tuona contro gli arbitri è una goduria vintage. Tutto il potere alla macchina. E l’uomo si è ribellato. Dove l’ho già sentita? Ma certo, Calvarese è il John Connor degli arbitri, quello che guida la guerra contro le macchine, proprio come John Connor, figlio di Sarah Connor, è l’eroe dell’umanità afflitta e perseguitata dai computer nella saga “Terminator”. Afflitta e perseguitata ma ribelle.
C’è qualcosa di epico in questa battaglia contro lo strapotere delle macchine, contro l’eugenetica che punta alla scomparsa dell’errore. Ho letto che Gianpaolo Calvarese sarebbe un arbitro “arrogante”, per me è solo un resistente. Fuori dal paradosso. A me la Var starebbe anche bene, ma è la tesi che la sostiene a essere disprezzabile. Una correzione calata dall’altro, solo su un aspetto del problema del calcio. Nella partita incriminata, Cagliari-Juventus, il centrocampista della Juventus Matuidi è stato colpito con cori razzisti. Ma si è parlato più della Var che di questo. Il calcio, specialmente quello italiano, è ancora infestato di loschi figuri e di pessimi elementi che egemonizzano parti importanti degli stadi. La mentalità generale, anche dei tifosi che non urlano bestialità, è ancora gretta e micragnosa. Non esiste e non ci si è mai curati di coltivare una vera cultura sportiva. Però si è spacciata la Var come la panacea di tutti i mali. Tra un po’ farà anche il caffè e andrà in giro a vendere pop corn e coca cola.
E’ l’essere umano che popola gli stadi, a tutti i livelli, dal tifoso al giornalista (spesso si sovrappongono), dal dirigente al calciatore, che andrebbe corretto, aiutato, sostenuto. Invece l’unico per cui invochiamo l’aiuto è l’arbitro, forse il meno peggio tra i frequentatori degli stadi. Alè Calvarese-Connor, la saga è appena cominciata.
Roberto Perrone
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