Non sparate sul pianista, ma tirate al giornalista. Facile battuta nelle redazioni anni 50 e successivi. Quantomai di moda anche oggi. Come lo era nel West americano di due secoli fa. Ma oggi, senza trovare alcuna facile rimetta, questa simpatica regoletta (eccola la rimetta gratuita, accontentati…) la si può applicare tranquillamente nel campo della pallavolo. Ma come, sotto rete ci si dà al tiro a segno? Eccome. Ma non sui palloni o sui martelloni (altra rimetta involontaria, vabbene). Bensì sugli allenatori. Non si spara, per ora, almeno, un domani chissà. Ma dove fioccano siluri a lenta corsa, licenziamenti in tronco, defenestrazioni rispettando la sacra formula del divorzio consensuale per non turbare l’ambiente, seguite dall’immancabile ringraziamento del lavoro svolto a favore di società e squadra. Pilato redivivo, insomma.
La moda, se così vogliamo considerare questo barbaro antipatico sistema di cacciare il tecnico laddove non si possono cambiare dodici giocatori, frase di qualche presidente del passato, arriva dal solito calcio. Far fuori almeno una coppia di allenatori per stagione serve a salvare capra e cavoli. Così, per giustificare di fronte a tifosi, stampa, ambiente, città, eventuali sponsor, che l’insuccesso non è mai colpa del presidente.
Ma del tecnico che non è stato abbastanza bravo nello sfruttare il materiale umano di gran pregio che la società graziosamente gli ha messo in mano. Tutti giri di parole che meglio verrebbero espresse con il classico “Alla prima che mi fai, ti licenzio e te ne vai”. Frase stereotipata e famosissima per chi ha i capelli grigi o bianchi, coniata per il Corriere dei Piccoli anni 40 e 50, forse 60 e addebitata a Sor Pampurio. Qualcuno ricorda, vero? Oggi si usa dire come una facezia: “Questo allenatore non mangerà il panettone”. Intendendo che non arriverà a Natale. Oppure anche: “Non mangerà la colomba”, se Natale lo ha già traghettato o magari è arrivato subito dopo e non vedrà il traguardo di Pasqua.
Ma può anche succedere, è successo, sicuro, che già alle fave dei morti, ai primi di novembre, sia avvenuto il ribaltone con un allenatore messo brutalmente alla porta. Ma il calcio è un altro mondo. Dove i risultati contano più di ogni altra cosa. L’importante non è partecipare. Ma vincere. O almeno, non perdere. Ma la pallavolo….. suvvia! Lo sport delle famiglie. Lo sport dove porti i bambini con nonne e zie. Dove a fine gara fai invasione di campo (dove te lo lasciano fare, la Superlega non ha ancora preso posizione diretta, lascia correre….) per cacciare autografi, selfie (chi ne conosceva il significato solo un anno fa alzi pure la mano), abbracci e baci. Questo, tutto vero, in superficie. Ma dietro le quinte, anche nel volleyno vige una legge spietata. Non vinci….Fora di ball. Due, tre sconfitte, magari anche quattro, vengono tollerate, a volte. Ma già dopo la prima, il reprobo viene guardato male, controllato a vista, sente su di sé il peso della condanna imminente. E si trova alla parete. Una vittoria, meglio due, allontanano il cappio. Che poi al primo scivolone fatalmente si stringerà sul collo dello sventurato. Evvia, avanti un altro. E questa è la giostra del volley di panca.
Quest’anno, nello stabilire un record, si è pure rasentato il ridicolo. Quando Marcello Abbondanza, tecnico romagnolo che ha fatto faville all’estero, in Turchia e Azerbaigian, si è seduto sulla panca di Casalmaggiore per nemmeno trenta giorni. Quattro partite e fuori. Addirittura a due giorni di distanza dal matrimonio con Damla. Sabato sposo in Comune a Cesenatico. Domenica sconfitto in campionato a Cremona. Lunedì in lista disoccupati. Ma con una dicitura strana. “Sospeso sino a fine girone d’andata”. Mah! Quando si inizia la danza attorno al palo della tortura, cioè alla panchina traballante, aumentando i timori per tutti gli altri. Chi sarà il prossimo? Perché, dopo il primo, ci sarà una passerella, un martirio, una strage. Il primo è un esempio.
Dopo, una valanga. Difficile stilare un elenco. Ma appena iniziato il girone di ritorno in campo femminile e già metà squadre più una ha cambiato l’allenatore. Ultimo nell’ordine Marco Bracci, cacciato da Firenze. Ma come, pure lui, uno dei Fenomeni della nostra pallavolo, un grande d’Italia, pure paracadutista nella Folgore….Ma allora non si guarda proprio in faccia a nessuno. No, infatti. Senza pietà. Le colpe, tutte al tecnico. No a chi ha fatto la squadra. In genere, il presidente stesso o il direttore sportivo quando c’è. Troppo facile. Gli altri, zero responsabilità. Al tecnico si affida un gruppo di giocatrici. E poi, stile “armiamoci e partite”, gli si dice… Vai e vinci. Scudetto, coppa Italia, playoff, sembra tutto facile. Poi le sconfitte pesano, gli allenatori si inguaiano. Risolvi tutto mettendolo alla porta, esponendolo al pubblico ludibrio e avanti col nuovo.
Chi ha ragione? Mah. Non si tratta di assegnare ragioni o torti. Ma combattere un’usanza che ormai è diventata abitudine e non consente logicamente ad alcuno allenatore di lavorare con tranquillità. Quando sulla testa ti pende il cappio del licenziamento, come fai a stare sereno, alla… Renz? Prima o poi ci caschi, il colpo di mannaia arriva e, zac, ti trovi a spasso. In autunno, in campo maschile, altro esempio clamoroso da extra moenia. Ferdi De Giorgi, fresco allenatore della Polonia, viene cacciato dopo appena tre mesi, tre, di lavoro. Motivo? La squadra è andata male al campionato europeo giocato in casa. Eccolo il capro espiatorio pronto. Crucifige. Licenziato è sempre meno peggio che sparato. Ma la figura, il rispetto, la considerazione, la stima, dove la metti? Una macchia nella carriera.
Esiste una morale? No. Abbiamo indicato un esempio di malcostume all’italiana, che si sta allargando anche all’estero. Perciò la carriera dell’allenatore è diventata tra le più insidiose e pericolose. Rischi ogni domenica sul campo e dopo. Rimedi? Nessuno. La pallavolo, si dice, è cambiata. L’epoca dei Giuseppe Panini è tramontata. Oggi chi caccia la grana, le palanche, i danée, il giochino vuole amministrarselo lui. Non passerà lungo tempo, vedrete, che scoccherà la nuova frontiera sulle panchine. Cacciato l’allenatore di lungo corso, uno che si è fatto le ossa sul campo e fuori per anni. Ecco che sulla panca si siederà…Chi? Ma il presidente. Che così avrà coronato il sogno di una vita. Il vice allenatore faticherà sudando nel dirigere gli allenamenti. Ma sarà il presidentissimo a sedersi in panchina per la partita. E state certi che nessuno gli porterà via la cadrega di sotto il sedere. Perché? Ma quando chi paga tutto si trasforma nel nocchiero, chi volete possa cacciarlo via? Non era il sogno neanche tanto segreto di Carlo Magri, per 22 anni presidentissimo della Fipav?
Carlo Gobbi