Domenica l’America si ferma: c’è il Super Bowl numero 52, anzi LII, perché la gara che assegna il titolo della National Football League è l’unica cosa rimasta al mondo a essere identificata dai numeri romani. Ed è dal XXXVI, vi aiuto, l’edizione del 2001, che i New England Patriots presentano la coppia coach, Bill Belichick, e quarterback, Tom Brady, già entrata nella storia dopo aver battuto tutti i record combinati e ad un passo dalla leggenda: vincendo, Brady sorpasserebbe Charles Haley diventando il giocatore con più titoli vinti nella storia, sei. Il nuovo millennio è stato dominato dalla squadra di Boston che non aveva mai vinto prima dell’arrivo della coppia Belichik-Brady e nonostante il quarterback, noto alle signore soprattutto come marito della supermodel Gisele Bundchen, abbia compiuto 40 anni lo scorso agosto, i Patriots sono ancora fortemente favoriti contro i Philadelphia Eagles, già affrontati e sconfitti nel 2004 (Super Bowl XXXIX). Non esistono paragoni con nessun altro evento unico nel mondo dello sport, per quello che il Super Bowl rappresenta a livello spettacolare, non solo sul terreno di gioco, o meglio, non solo sul terreno mentre si disputa la partita. Perché nell’intervallo il campo viene occupato da un incredibile show con le stelle più grandi (quest’anno tocca a Justin Timberlake, riabilitato dopo l’incidente del 2003 quando mostrò per un secondo e mezzo in mondovisione un capezzolo di Janet Jackson con lui sul palco: orrore!), mentre le più grandi aziende, quest’anno soprattutto di birra, bevande e automobili, presentano i nuovi spot televisivi, pagati fino a 5 milioni di dollari per un passaggio di 30”, in una specie di gara a sé che ha critici, vincitori e vinti né più né meno della partita. La città che ospita il Super Bowl diventa un immenso teatro per tutta la settimana che precede la gara, con i club prenotati da mesi per le feste private delle celebrità (anche i giocatori) dove un invito diventa uno status symbol da mostrare ai posteri mentre i tifosi delle due squadre invadono le strade e gli eventi collaterali organizzati di continuo. Quest’anno però c’è un problemino: la finale si gioca a Minneapolis che già non è Las Vegas e ieri presentava una temperatura di 20 gradi sotto zero. Nessun problema per la partita che si gioca nella casa dei Vikings, l’Us Bank Stadium, una meraviglia: un impianto al chiuso ma con una copertura trasparente in etilene tetraflouroetilene che di giorno permette di giocare sul campo in erba sintetica con la luce naturale. Il cuore, fino al momento della partita, è però il Mall of America, il più grande centro commerciale degli Stati Uniti. Per gli spostamenti, si usano i passaggi sotterranei, un’autentica città sotto la città, che i minnesotiani usano quotidianamente per non congelare. Diciamo, però, che di solito gli eventi mondani, d’inverno, riescono meglio a Miami o Los Angeles…
Il Super Bowl è l’apice di uno sport meraviglioso, una vera religione americana. Le partite della Nfl hanno avuto una media spettatori superiore alle 67 mila presenze con 16 milioni di telespettatori, cinque volte più della Nba che è al secondo posto, mentre i contratti televisivi con i network nazionali producono oltre 6 miliardi di dollari a stagione. Il tutto per pochissime partite: la stagione ne conta solo 16, più i playoff che si giocano in una sfida secca. Per una squadra che ha delle ambizioni, perdere una gara anche di stagione regolare può rappresentare un problema (Patriots e Hawks ne hanno perdute tre a testa quest’anno). E’ l’importanza di ogni singola giocata che rende ancora più sorprendente la longevità di New England che ha conquistato 5 titoli dal 2001 al 2017, arrivando all’ottavo Super Bowl in 17 stagioni e alla dodicesima finale della loro conference, la Afc. Con una sceneggiatura che sembra fatta apposta per un grande film: l’esplosione con tre titoli in quattro anni (2001, 2003, 2004) come solo i Dallas Cowboys erano riusciti a fare, poi due sconfitte, tutte e due contro i New York Giants, per far dire che la loro epopea, e quella di Tom Brady colpito anche da un brutto infortunio, stesse per concludersi, prima di ritornare al titolo nel 2014, col successo contro i favoriti Seattle Seahawks. Dando poi vita, l’anno scorso, alla più incredibile e inimmaginabile rimonta, sotto 28-3 con gli Atlanta Falcons sul finire del terzo quarto, fino al trionfo al supplementare per 34-28. In tutte le due occasioni, ovviamente il premio di miglior giocatore è andato a Tom Brady, sempre più di ghiaccio quando si decidono le partite. E tante volte New England ha vinto all’ultima azione, con i calci di Adam Vinatieri, bisnonno italiano, all’inizio del secolo (oggi il “nostro” rappresentante è il wide reciver Danny Amendola, che gli americani chiamano Amendòla, che ha il papà del nostro Paese) e con le prodezze di Brady e della difesa negli ultimi due successi nati da clamorose rimonte nell’ultimo quarto. E cosa c’è di più bello e appassionante, di una partita secca decisa all’ultimo secondo? Io ho avuto la fortuna di vedere l’unico Superbowl chiuso con un solo punto di distacco, quello del 1991 a Tampa Bay, quando i Buffalo Bills persero 19-20 contro i New York Giants perché il loro kicker, Scott Norwood, sbagliò un calcio da 47 yard all’ultimo secondo (finì contro il palo) consegnando il successo agli avversari. Lo ritrovammo piangente su uno dei tanti palchi singoli riservati alle interviste post partita mentre non riusciva a rispondere alle domande dei pochi giornalisti senza pietà raccolti attorno a lui. Perché se non ti chiami Brady, il Super Bowl può arrivare una volta sola nella vita. Per chi fare il tifo? Se i Patriots vinceranno, potranno uguagliare i Pittsburgh Steelers che detengono il record con 6 titoli conquistati e Brady diventare il giocatore che ne ha portati a casa di più. Se vinceranno gli Eagles coroneranno un sogno infranto due volte, l’ultima 13 anni fa proprio con i Patriots, dopo i tre successi prima degli anni Sessanta, quando il Super Bowl non esisteva ancora. Fate voi, ma godetevi la festa anche televisiva, che ormai da noi è una tradizione: chi si ricorda che negli anni Ottanta, la prima diretta italiana del Super Bowl la presentò Mike Bongiorno?
Luca Chiabotti