Se Giampaolo Pazzini, 33 anni, prelevato dal Levante, dopo l’inoperosità sulla panchina del Verona, la seconda squadra di Valencia che si dibatte in fondo alla classifica della Liga, segna dopo appena 15 minuti un gol che scheggia la fama del Real Madrid; se Rodrigo Palacio, 36 anni, sventola il suo codino diabolico davanti agli occhi di Handanovic che una volta lo stoppa, ma la seconda si arrende, spaventando la sua amata ex, l’Inter; se Fabio Quagliarella, 35 anni, segna il suo diciassettesimo gol (su rigore) contro il Verona trascinando verso l’alto la Sampdoria… ci viene da pensare che la terza età, nel calcio, non è così brutta come la si vuole dipingere.
Nel calcio l’età conta, ma non sembra essere un problema per il movimento nazionale che secondo un’indagine del 2015 della Figc, si attestava in una classifica come il più vecchio d’Europa. E se è vero che l’orologio biologico si è spostato in avanti, non va sottovalutato che questo fenomeno pur stemperato dalla grandezza di certi giocatori (vedi Buffon che a 40 anni para come se fosse un ragazzino o a Altafini che entrando dalla panchina a 37 anni realizzava gol decisivi per la Juve), denota una debolezza del sistema. Come se il nostro calcio non sapesse svincolarsi dal passato, da giocatori che hanno scritto una piccola o grande storia e che con i loro exploit celano un parco di giocatori in là con l’età, una piccola barriera all’evoluzione della specie e all’affacciarsi delle nuove leve.
Con questo non intendiamo minimizzare le imprese di grandi protagonisti che hanno stracciato con orgoglio la carta d’identità e zampettano in area di rigore con risultati eccellenti. E devastanti per gli avversari. Ma fotografare lo stato delle cose ci aiuta a comprendere quanto il mondo del pallone sia, lo diciamo affettuosamente, un po’ geriatrico.
Noi eravamo partiti proprio da Giampaolo Pazzini, non tanto per affermare le pecche di una sistema, ma per esaltare certe peculiarità, o certi record che sul piano umano sono da raccontare. A Valencia, Giampaolo, che nella sua storia ha segnato caterve di gol, ma che a Verona sembrava destinato quasi all’oblio, protagonista di un tocco e di un gol contro il Real Madrid, ha rinfocolato gioie ed entusiasmi. Il suo modo di festeggiare il gol contro la squadra di Zidane ha fatto creare ai tifosi spagnoli anche un kit speciale, con le due dita in segno di vittoria da innalzare allo stadio. Qualcosa di inaudito anche alle nostre latitudini.
Questi esempi denotano quanto la professionalità di un giocatore, pur tirato per la giacca da numerose e pericolose sirene, sia determinante. Rodrigo Palacio, per esempio. A Bologna credevano fosse arrivato per raccogliere gli ultimi spiccioli di un’apprezzata carriera. Eh, no. Ha messo in panchina anche Mattia Destro e si prende ancora la luce dei riflettori con la solita sicurezza di un attaccante che non è stato un campionissimo, ma ha recitato sempre con intelligenza, mostrando con continuità i suoi piccoli capolavori.
Infine riflettori su Fabio Quagliarella, l’attaccante protagonista di gol spettacolari, impossibili o quasi, segnati da ogni angolo e in ogni squadra. Il fiuto non è mai mancato, la rabbia sotto porta neanche, ma neppure lui si sarebbe aspettato di flirtare con il gol con l’intensità che ha adesso alla Sampdoria, con uno score personale che non aveva mai raggiunto prima d’ora in carriera. L’età, nel suo caso, non sembra un problema, perché il fiuto uno ce l’ha o non ce l’ha, e chi ce l’ha sa anche da fermo mandare in tilt il portiere avversario. Uno stato di grazia che a 35 anni compiuti da pochi giorni, non sembra appannarsi pur in mezzo a tante giovani e rampanti goleador.
La serie dei cannonieri d’antan è lunga. Come non ricordare Marco Borriello che come uno zingaro felice ha attraversato l’Italia in lungo e in largo depositando ovunque i suoi gol. Capolavoro lo scorso anno con il Cagliari (16 reti), mentre oggi è fermo a una sola rete con la Spal, attualmente inghiottito da una nebbia dalla quale, stranamente, non sembra in grado di uscire.
Non si può non annotare il nome di Sergio Floccari, che di anni ne conta 36, che con la Spal (è compagno di Borriello) è riuscito in 6 presenze a infilare gli avversari due volte, o Sergio Pellissier, che sul calendario ad aprile dovrà circolare il suo trentanovesimo compleanno e che con il Chievo è l’arma della disperazione, colui chiamato a risolvere il pasticcio di un risultato negativo: quest’anno 15 presenze e un solo gol, l’anno scorso 9 su 30 gettoni. Non male davvero.
Questi sono i reduci di un’epoca che ha già archiviato, tra gli attaccanti, grandi nomi come Luca Toni che a 39 anni nel 2016 ha detto basta, regalandosi 6 reti, o Francesco Totti che in questo campionato per la prima volta non vediamo in calzoncini corti e che a 39 anni a 8 mesi la scorsa stagione ha lasciato il campo avvolto da un abbraccio senza confini generazionali. Due campioni del Mondo che tanto rimpiangiamo: rimpiangere il passato che non può ritornare ci racconta quanto il nostro presente sia senza luccichii, immerso in una nuvola grigia che non lascia ancora intravvedere l’uscita, anche se qualche squillo qua e là è di conforto.
Sergio Gavardi