Alle prime NextGen finals di Milano, a novembre, Stefanos Tsitsipas è arrivato da riserva di lusso con lo scalpo di David Goffin nei quarti dell’Atp di Anversa: ha palleggiato volentieri coi magnifici 7+1 della nuova rassegna mondiale under 21 dell’Atp Tour, li ha intervistati col sorriso sulle labbra e tanta ironia con un microfono in mano, ha giocato l’esibizione con Sascha Zverev (invidiata superstar già promossa al Masters dei big) e ha salutato felice, promettendo che sarebbe tornato, presto, da protagonista. Perché Milano è nel suo dna di campione, sin da quando, nel 2016, s’è aggiudicato il prestigioso Trofeo Bonfiglio e, conquistando subito dopo il doppio under 18 a Wimbledon junior, ha chiuso l’anno da numero 1 del mondo di categoria. Da greco orgoglioso, elegante e combattivo, da figlio d’arte di mamma ex tennista russa e papà maestro di ginnastica, da primo della classe della Mouratoglou Academy, da bel regazzino alto (1.91) e magro, ancora da fare fisicamente, da persona intelligente che si dibatte nel difficile equilibrio del tennis fra autostima e autodisciplina, da paladino del rovescio classico, a una mano, ci ha messo un po’ a mettere insieme i pezzi da professionista della racchetta. Sempre poco, considerando che è nato appena il 12 agosto 1998, ad Atene, e che la sua crescita è stata costante, senza strappi, ma con tante piccole, fondamentali, conferme.
A gennaio a Doha, l’ultimo guerriero greco del tennis ha superato i due turni di qualificazioni, e poi Florian Mayer e Gasquet, fermandosi poi con l’equilibrato 75 64 nel braccio di ferro contro Dominic Thiem, ad Auckland e agli Australian Open, s’è arreso subito, a Lacko e a Shapovalov, ma sempre lottando, sempre mostrando personalità, sempre regalandosi soddisfazioni ed applausi. Emblematico il punteggio di Melbourne: 16 36 76 (5), nel segno di un’excalation tecnico-tattico-fisica importante. Ha ripreso contatto con la vittoria al Challenger di Quimper, battendo anche lo “Stefano de noartri”, Napolitano, fermandosi alle semifinali contro il più solido numero 119 del mondo, Halys. Quindi, ha lottato fino al 75 e fino al 76 al terzo set, contro i più esperti e navigati Chardy, a Montpellier, e Klizan, a Rotterdam. Ha ceduto ancora di misura con Mahut a Marsiglia. E, a Dubai, s’è preso la soddisfazione di battere due veterani come Kukushin e Kohlschreiber, prima di lasciar via libera ai quarti a Jaziri, sempre in tre set, sempre agguerrito e disposto a dare tutto sul campo di battaglia. Così, insistendo, così crescendo, anche a Indian Wells e Miami, ha salutato il presto torneo, rispettivamente, al secondo e al primo turno, ma sempre a testa alta, sempre in tre set e contro avversari al momento troppo forti, come Thiem e Medvedev. Ha bucato giusto il Challenger in Guadalupa, cedendo al secondo ostacolo contro Garin ma, appena è salito sulla reale passerella di Montecarlo, insieme alla madre terra rossa, ha ritrovato lo spirito giusto, volando le qualificazioni e poi infilando Shapovalov prima di cedere per un pelo, nel secondo turno, al redivivo Goffin. Pronto, talmente pronto che, a Barcellona, ha messo in fila Moutet, Schwartzman, Ramos Vinolas, Thiem e Carreno Busta, arrendendosi solo in finale e solo a sua maestà Rafa Nadal, e auto-promuovendosi al numero 44 del mondo. Da 91 che era all’alba della stagione.
Le nette rivincite con Shapovalov e soprattutto Thiem, considerata la superficie, lanciano Stefanos Tsitsipas in una dimensione completamente nuova. Considerando il panorama della terra rossa europea, le sue forze fresche e il fattore-sorpresa di un personaggio ancora poco conosciuto dagli avversari. Una dimensione sia specifica, sia generale, come secondo nella classifica di categoria, dietro il più maturo Zverev (21 anni compiuti), nella Race to Milan, avanti ai 20enni Fritz, Rublev e Tiafoe, e agli altri 19enni De Minaur e Shapovalov.
Tsitsipas ha un bel gioco offensivo, coraggio nel cercare nuove soluzioni, e non molla mai. Come la famigerata mosca tsé-tsé dalla puntura mortale. Lui, semplicemente non molla. Forte di capacità di analisi e di classe naturali, oltre che di senso del palcoscenico. Come ha congegnato sul podio di Barcellona, nell’innaffiata di champagne subita, sempre col sorriso e coi modi giusti del “bon viveur”, da parte di re Rafa, prima di commentare, sincero: “E’ stata la mia prima esperienza contro Nadal ed è stata più dura di quanto pensassi. L’avevo guardato milioni volte in tv, ma giocarci contro nella realtà è stata ancor più difficile. Bisogna essere pazienti e fare tutto giusto, e io invece andavo troppo di fretta ed avevo la testa per aria. Ho cercato di tirare sulle righe ed è stata la scelta sbagliata. Non avevo opzioni. Non mi ha concesso nemmeno l’aria per respirare. Di sicuro, ho imparato qualcosa, e spero in futuro di fare meglio contro di lui”.
Sono parole da guerriero e anche da abile stratega, di chi sa usare altrettanto bene la spada (pardòn, la racchetta) come la lingua. Del resto, sin da bambini, ha aperto una pagina Facebook con commenti e risultati delle sue gesta più o meno eroiche. E oggi, malgrado sia in crescita costante sia sul cemento che sulla terra, rilancia: “La mia superficie preferita è l’erba”. Mosca tsétsé o guerriero greco? Di sicuro, un altro aspirante protagonista che si faccia alla tavola dei grandi, un Next Gen di personalità – ancora europeo – di cui si sentiva proprio il bisogno.
Vincenzo Martucci
(tratto da www.federtennis.it)