Ho sempre avuto un debole per le sfavorite. Fin da piccolo, quando nella Milano del grande Simmenthal scelsi di tifare e giocare nell’altra squadra, la All’Onestà. La passione per gli underdog, come li chiamano gli americani, mi ha accompagna da sempre, in tutti gli sport: non è un banale amore per gli sfigati, la cosa importante che piccoli, sfavoriti, più poveri, le mie squadre abbiano comunque dei valori, una storia, una identità diversa. Che tentino di puntare il più in alto possibile, anche se non ci riescono quasi mai. Ho fatto questo inutile preambolo personale per dire che l’avventura che Trento sta per iniziare contro Milano nella sua seconda finale scudetto consecutiva, suscita in me grande simpatia e empatia. Se Cleveland viene data come grande sfavorita nelle Nba Finals nonostante schieri il più forte giocatore sulla terra, Trento lo è almeno altrettanto nei confronti dell’Armani, considerato anche che ha perso, almeno per le gare iniziali, Diego Flaccadori e non ha in fondo alla panchina due nazionali praticamente inutilizzati e un americano in tribuna come i suoi futuri avversari, ma solo otto giocatori nelle rotazioni.
Milano è favorita in questa finale inedita per la serie A soprattutto per le sue enormi potenzialità, anche se, due anni fa in Eurocup e l’anno scorso in semifinale, l’Aquila l’ha eliminata quando il suo svantaggio, sulla carta, era pari a quello di oggi. Nei playoff, la Dolomiti Energia ha buttato fuori le due squadre più lunghe e danarose dopo Milano, Avellino e Venezia, sempre col fattore campo a sfavore, mentre l’Armani ha avuto un tabellone più agevole. Nel girone di ritorno ha giocato meglio e vinto quanto Milano. Unico dato a sfavore dei trentini è lo 0-2 negli scontri diretti.
In realtà, Trento, come società e sul campo, non è inferiore all’Olimpia, probabilmente ha una identità tecnica più forte che nasce dalla difesa dove ottimi atleti di stazza uguale, pur non enorme, possono marcare tutti, dall’energia con cui la Dolomiti va su ogni pallone, sulle buone letture di un attacco non proprio di grande talento realizzativo. E poi, in una organizzazione di efficienza mittleuropea costruita da Salvatore Trainotti, troviamo storie meravigliose che sanno di rivalsa: l’anima di Toto Forray, l’argentino che ha giocato in tutte le categorie italiane, dalla C alla finale scudetto, la garra di Jorge Gutierrez, che ha riportato il Messico ai vertici del basket americano dopo quasi 50 anni, Joao Gomez partito dalla piccola Capo Verde, Dustin Hogue, il pivot più piccolo della serie A non arrivando neppure a 2 metri. Poi c’è Dominc Sutton, che l’anno scorso fu condizionato da un infortunio nella serie finale dopo essere stato la chiave del cammino di Trento fino alla sfida per il titolo. Mettiamoci anche che la Dolomiti Energia, nelle ultime due stagioni, a metà campionato non era neppure nelle prime otto ma che la società non ha fatto una piega, credendo in quello che era stato costruito e nel coach Maurizio Buscaglia, che allena lì da 8 anni (più 4 in precedenza). Bravissimi, tutti.
Certo, non è un problema di Milano se è considerata anche stavolta la favorita. Che sia un anno buono, lo dimostra il fatto che quando ha giocato la finale, nel 2014 e 2016, ha vinto lo scudetto, altrimenti era stata eliminata prima di arrivarci. La EA7 che si presenta in finale è una squadra più tosta rispetto a quella vista per quasi tutta la stagione, dopo aver tagliato l’organico, fatto chiarezza sui ruoli, soprattutto con Goudelock che è e deve giocare da prima punta o diventa addirittura dannoso, e ridotto le rotazioni. Trento ha due grandi problemi contro Milano: per quanto la sua difesa sia dura e tostissima, farà fatica a far scendere i punti realizzati dall’Armani sotto il livello della sua produzione offensiva. E sotto canestro, è lillipuziana contro Gudaitis e Tarcewski. Peraltro, i due lunghi milanesi non sono sfruttati come la loro presenza meriterebbe. Siamo però sicuri che lotterà, difenderà, si butterà su ogni pallone fino alla fine. Eppure, la missione di Trento, nella finale che parte martedì, sembra davvero proibitiva. Ed è questo il bello di essere delle underdog, si è sempre chiamati ad affrontare delle sfide epiche. L’Olimpia per vincere lo scudetto sarà costretta a produrre una grande pallacanestro e quindi avrà pienamente meritato di cucirselo addosso. Ma per la maggioranza delle persone resterà, come sempre, solo la più ricca che doveva vincere per forza. Noblesse oblige.
Luca Chiabotti