C’è modo e modo di perdere. In questo, Maria Sharapova e Serena Williams, le grandi rivali al vertice degli ultimi quattordici anni, sono assolutamente d’accordo e hanno dato lezione. Anzi, sono diventate il simbolo di un tennis non completo, non ideale, non imitabile, ma di agoniste fantastiche invidiate da tutte. Perciò, sapendo di non potersi ancora esprime al meglio, men che meno sull’ostica terra rossa, Serenona è scappata dal Roland Garros un attimo prima di confrontarsi con l’odiata avversaria, rimandando alla più amica erba il faccia a faccia con le proprie aspirazioni. Perciò, la divina Maria, battuta d’acchito ai Championships, sta piangendo lacrime amare in queste ore. Come del resto tante, troppe, altre teste di serie.
C’è modo e modo di perdere. Intanto il punteggio, 67 76 64, racconta che l’algida russa allevata al “corri e tira” di Nick Bollettieri sia stata superata proprio nella sua specialità: la lotta, la partita combattuta col coltello fra i denti, quella che si decide per un gemito e un pugnetto levato al cielo in più, dopo tre ore e sette minuti. Peggio ancora: l’avversaria era mezza infortunata. Anzi, è una di quelle giocatrici ritrovate dopo una serie infinita di infortuni. Dopo aver perso il primo set, era sotto 5-2 al secondo ed è arrivata due volte a due punti dalla sconfitta, senza però mai cedere l’iniziativa, come dicono i 31 vincenti contro 32 errori gratuiti. Peggio che mai: l’indiscussa atleta russa più famosa ha perso contro una connazionale, non una bambina prodigio, ma la 28enne Vitalia Diatchenko, promossa dalle qualificazioni da appena numero 132 del mondo, macchiando irrimediabilmente il filotto delle ultime dieci partite vinte contro le matrioske nate dal suo esempio di tennis e di vita. Contro un’avversaria di terzo lignaggio, che è arrivata al massimo al numero 71 della classifica Wta. Peggio che peggio: Maria non usciva di scena al primo turno da tredici Slam: l’ultima volta – curioso – era inciampata in un’altra russa, Maria Kirilenko , agli Australian Open 2010.
Ahilei, il mito, a 31 anni, scricchiola cupamente e vacilla paurosamente. Per una leonessa non c’è niente di peggio che perdere credibilità, anche se resta la migliore fra le P.R. del tennis: “Mi è scappata via, ha giocato estremamente aggressivo, mentre io ero un po’ troppo difensiva rispetto a quello che avrei dovuto fare. Lei voleva vincere e ha vinto, mentre io ho avuto più occasioni e, anche se non ho giocato bene, ho aperto qualche porta e sono stata a un paio di punti dalla vittoria. A volte succede: ti metti nelle condizioni migliori e non riesci a concludere. A volte rimonti, come a Parigi con Pliskova, a volte non ce la fai”.
Nemmeno il doppio fallo finale – il numero 11! – fa abbassare lo sguardo all’altera Sharapova: “Fa parte del gioco, sentire il momento di tensione, è umano. Non conta quante volte l’hai fatto, non conta su quale campo giochi, conta il momento, il pubblico, Wimbledon, tu che vuoi dare il meglio. Tutto questo lo devi sentire per forza, e io adoro questa sensazione, è uno dei motivi per i quali gioco a tennis”. Ma la ferita sanguina. Basterà a ricucirla il cemento americano?
Vincenzo Martucci
(tratto da federtennis.it)