Cesare e Paolo Maldini, il figlio che supera il padre, una famiglia attraverso la quale è possibile leggere alcune tra le più belle pagine del calcio italiano del Dopoguerra. Cesare è stato l’uomo dei tre titoli europei under 21consecutivi, impresa senza precedenti. Il primo, giunto alla fine del biennio 1990-92, prese le mosse dal 6 a 1 incassato dalla sua Italia a Stavanger contro la Norvegia nel girone di qualificazione. Il presidente della Federcalcio Matarrese, incrociando gli azzurrini all’aeroporto di Oslo, rimproverò aspramente Maldini per la figuraccia e disse che se quei ragazzi fossero stati figli suoi, li avrebbe presi a ceffoni. Cesarone, che era della scuola di Rocco e Bearzot, non tollerava intromissioni nel suo gruppo e se la legò al dito. Così come i giocatori, che vinsero il primo titolo europeo under 21 battendo nella doppia finale la Svezia.
Con Maldini era facilissimo stabilire un rapporto professionale e personale. Per me, padovano, fu ancora più facile entrare il sintonia con lui, triestino, uniti nel nome di Nereo Rocco. Ogni tanto mi si rivolgeva in dialetto, sapendo che lo capivo benissimo. Per dare un’idea della sua umanità, racconto un episodio del 1994, vigilia della fase finale del secondo europeo vinto da Cesare.
Con il collega Rinaldo Boccardelli del Corriere dello Sport, partimmo da Roma in treno per Firenze, dove si trovava in ritiro la nazionale under 21. Da lì, a Coverciano, per l’ultimo allenamento in Italia e poi la partenza da Pisa col charter della squadra e dei giornalisti. Dopo l’allenamento, le solite interviste e, in attesa di prendere il treno per Pisa, ci stavamo attardando a fare due chiacchiere coi giocatori accanto al pullman della nazionale. A un certo punto veniamo interrotti dalla voce di Maldini: “E voi cosa ci fate qui ?”. In un primo momento pensavo a un rimprovero, perché in effetti eravamo gli unici giornalisti rimasti. Ma non era da lui. E infatti quando gli dissi: “Cesare, ce ne andiamo subito”, lui replicò: “E dove andate ?”. E io: “A prendere il treno per Pisa, ce n’è uno ogni mezz’ora”. Ed ecco il capolavoro di Cesare: “Non esiste. Voi venite in pullman con noi”. Non era un invito, era un ordine. Lo capimmo quando cercammo di convincerlo che non era il caso e lui ci disse: “Non rompete i coglioni e salite a bordo che si parte !” Una cosa mai vista: due giornalisti a bordo del pullman di una nazionale, mischiati tra i giocatori.
Poi, a Montpellier, l’Italia affronta in semifinale la Francia del CT Raymond Domenech, che alla vigilia è così incauto da dichiarare: “La squadra di Maldini gioca un calcio arcaico”.
I “galletti”, guidati da Zidane con i capelli, attaccano inutilmente per 90 minuti regolamentari e per i 30 supplementari, ma vengono castigati ai calci di rigore, con Toldo che ne para due. Alla fine Maldini cerca di avventarsi su Domenech per regolare i conti, ma fortunatamente viene trattenuto dal suo secondo Marco Tardelli e dalla panchina azzurra, che evitano il peggio.
L’Italia conquistò poi il suo secondo europeo titolo consecutivo battendo, con un Golden Goal di Orlandini nel secondo supplementare, il Portogallo campione del mondo under 20, imbottito di fuoriclasse come Figo e Rui Costa.
Qualche settimana dopo, Domenech venne arrestato dalla polizia statunitense mentre vendeva i biglietti della Federcalcio francese ai mondiali di Usa ’94 e trascorse una notte al fresco. L’accusa fu di bagarinaggio.
Due anni dopo, Barcellona è il teatro della fase finale dell’Europeo 1996. In semifinale è ancora Italia-Francia. Alla vigilia, intervisto Maldini allo stadio Olimpico del Montjuich e lo provoco: “E’ contento di ritrovare Domenech ?”. La sua risposta fu strepitosa: “Non parlo di bagarini”. E regalò il titolo ai quotidiani del giorno dopo.
Per la cronaca, l’Italia eliminò la Francia con un gol di Totti e poi battè in finale la Spagna ai calci di rigore, grazie agli errori dal dischetto di De La Pena e Raul.
Qualche mese dopo, a Maldini viene affidata la Nazionale maggiore, reduce dai deludenti Europei in Inghilterra. Raccoglie il testimone da Arrigo Sacchi, ma prima dà l’addio alla “sua” under 21 con un’amichevole contro l’Ungheria a Budapest. Visibilmente emozionato, Maldini alla vigilia, detta ai giornalisti la sua ultima formazione, poi lascia la squadra al suo vice, Rossano Giampaglia.
Sull’aereo di ritorno, mi siedo accanto a Cesare per ringraziarlo di avermi sopportato per tanti anni e augurargli buona fortuna nella sua nuova avventura. “Daniele – mi dice – ma secondo te, ho fatto bene ad accettare o mi sono cacciato in un casino ?” “Cesare – gli rispondo – non potevi dire di no, dopo aver vinto tre titoli europei consecutivi con l’under 21. E poi hai una buona nazionale che può fare bene ai mondiali di Francia 2018. Secondo me il capitano ti darà una mano a calarti nello spogliatoio, dove peraltro ritroverai molti ragazzi che hai avuto nell’under 21 negli ultimi anni”.
Il capitano di quell’Italia era il figlio Paolo, probabilmente il più forte terzino sinistro della storia del calcio italiano e uno dei più grandi di sempre al mondo. Destro naturale, Maldini junior fece impallidire il ricordo di Facchetti e Cabrini, per anni padroni assoluti della fascia sinistra. Paolo aveva una tecnica sopraffina, un fisico perfetto, la personalità del leader, un modo di correre unico, elegante al punto da mascherare la fatica, mai una parola fuori posto.
Nel 2003, all’Old Trafford di Manchester, sollevò al cielo la Champions League al termine della finale vinta ai rigori contro la Juventus. Lui capitano del Milan, quarant’anni dopo papà Cesare, che il 22 maggio 1963 alzò a Wembley l’allora coppa dei Campioni conquistata a spese del Benfica di Eusebio.
A Francia ’98, gli azzurri di Cesare Maldini aspettano inutilmente Alessandro del Piero, ma riscoprono un grande Roberto Baggio. L’Italia approda ai quarti di finale dove affronta i padroni di casa di Zidane. Giocano meglio gli azzurri, ma non riescono a segnare, nonostante due colossali palle gol capitate a Baggio e Vieri, finite fuori di un soffio. Passa la Francia ai rigori, grazie all’errore dal dischetto di Gigi Di Biagio, che spedisce il pallone sulla traversa, e i galletti conquistano il loro primo titolo mondiale.
E veniamo al 2000, quando Bratislava ospita la fase finale degli Europei under 21, vinti dall’Italia di Tardelli con un gol su punizione di Pirlo ai supplementari nella finale contro la Repubblica Ceca.
Con i colleghi slovacchi riusciamo a organizzare un’amichevole tra giornalisti italiani e locali. Maldini è lì come osservatore del Milan, mentre Sacchi è la voce tecnica delle telecronache di Mediaset, che possiede i diritti tv della fase finale. I due non si amano alla follia: Arrigo è il profeta del calcio champagne, del collettivo prima del campione, Cesare l’ultimo rappresentante di quello che Gianni Mura, con felice sintesi, definì “il calcio pane e salame”.
Mi viene un’idea: convinco Maldini a scendere in panchina come CT dell’Italia dei “giornalai”. Poi vado da Sacchi e lo persuado a venire in campo come capitano. Nessuno dei due sa del ruolo dell’altro, lo scopriranno soltanto negli spogliatoi. Lo sponsor tecnico della nazionale ci fa arrivare nel giro di poche ore venti mute complete con scarpini e divisa della nazionale. Partiamo dall’albergo col pullmino, Cesare si siede in prima fila e comincia a dare la formazione e qualche indicazione tattica. Entriamo negli spogliatoi seguiti dal mio operatore che riprende tutto. Maldini che ci ricorda, senza rendersi conto con che “scarponi” ha a che fare, i movimenti che dovremo fare di lì a poco. Andiamo in campo, ma dopo pochi minuti Sacchi, schierato al centro della difesa in linea dove io agisco – si fa per dire – come terzino destro, accusa un problema muscolare e chiede il cambio. Nell’intervallo, parlo con Arrigo e con Cesare e li convinco a fare gli attori a beneficio di telecamera. I due accettano di buon grado e, poco dopo l’inizio della ripresa, Sacchi si avvicina alla panchina di Maldini dicendogli con fare stizzito: “Mister, io questa sostituzione non l’ho mica capita !“. E Cesare: “Ma stai zitto che andavi a due all’ora !” Poi i due scoppiano a ridere e si sciolgono in un abbraccio.
Il giorno dopo, montai il servizio più divertente della mia carriera, che andò in onda sul TG5. A casa ho ancora tutto il girato e ogni tanto lo riguardo, provando una grande malinconia perché Cesare non c’è più.
Daniele Garbo