Sorride e parla tanto più di prima, mister Eldrick Tont Woods il miracolato. Dopo troppe fidanzate – rigorosamente bionde come la moglie -, e troppi guai alle ginocchia e alla schiena, che gli hanno paralizzato la trionfale carriera, congelando agli Us Open 2008 (il 16 giugno) l’ultimo dei 14 titoli Slam, e al Bridgestone Invitational (il 4 agosto 2013), l’ultimo dei 79 successi sul massimo circuito pro del golf, a un passo dagli 82-record di Sam Snead. Tiger il Fenomeno si è fermato lì. Quello visto dopo, a strappi, col contagocce, compreso le ultime più credibili apparizioni, dopo nove mesi di buio totale, è solo un sosia dell’inarrivabile campione. Che, coi suoi 4 urrà al Masters e al Pga Championships e 3 al British Open e agli Us Open, non solo incalzava i 18 Slam-record di Jack Nicklaus, ma sembrava già virtualmente oltre quella magica soglia, votato ad altri, impensabili, traguardi. E’ stato, Tiger, il più giovane re del Masters, a 21 anni 3 mesi e 14 giorni. E’ stato l’asso che quattordici volte su quindici, arrivando in testa all’ultimo giro di un Major, da solo o in compagnia, aveva poi vinto il torneo, il miglior “finisseur” di sempre nello sport che tanto sollecita i nervi. E’ stato il primatista assoluto della media punteggio più bassa (67.9 nel 2000 e 2007). E’ stato quello che è rimasto più a lungo al numero 1 del mondo, 683 settimane (con due strisce di 281 e 264 consecutive weeks). E’ stato il simbolo del vincente più vincente che ci sia: quello che aveva superato più tagli consecutivi, 141, quello che aveva incassato più premi ufficiali (110,061,012 milioni di dollari) e più introiti di sempre, non solo nel suo sport, ma nello sport in generale, con 1.65 miliardi di dollari. E’ stato quello che ha vinto più volte lo stesso torneo, con gli 8 Arnold Palmer Invitational e gli 8 WGC-Bridgestone (alla pari di Sam Snead al Greater Greensboro).
E’ stato. Anche se molti di questi primati restano e resteranno scolpiti nella storia dello sport e degli appassionati, è clamorosamente eclatante il confine – il novembre 2009 – che ha segnato l’epopea di Tiger. Quando la moglie, Elin Nordegren, scoprì l’ennesimo tradimento e usò i ferri del mestiere del campione più famoso del golf per fracassargli l’auto dove si era rifugiato, l’immagine pubblica, la carriera, tutto. Ricostruire quella macchina perfetta è stato, finora, impossibile. Fenomenale com’è, Tiger è comunque sopravvissuto alla tempesta mediatica, alla fuga degli sponsor, alla crisi personale, al divorzio, a tre operazioni chirurgiche alle ginocchia e a quattro alla schiena – l’ultima ad ottobre di un anno fa – , all’oblio, a otto tentativi di rientro, dal 2008, a nove mesi di silenzio totale, dal Dubai Classic del febbraio all’Hero World Challenge del 30 ottobre 2017 alle Bahaman. Dove si è classificato nono, con tre giri molto buoni e uno sballato. Contento, soddisfatto, sconcertato? Dopo aver sfogliato la margherita insieme a tutti gli amanti del golf – tornerà o non tornerà? -, svestito dalla corazza da super-eroe, mister Woods ha confessato candidamente che non sapeva neanche lui come e se sarebbe tornato alle gare dopo addirittura 301 giorni di distacco, che solo l’ultimo intervento chirurgico l’ha liberato dai dolori alla schiena, che ama tantissimo il golf e la gara, che può finalmente riprogrammarsi sul green, che può iscriversi al British Open numero 147 il 15-22 luglio a Carnoustie.
Il nuovo Tiger è più sorridente, più prolisso, più aperto e più disponibile che mai al mondo esterno. Il Tiger vero si nota solo a tratti: un approccio qui, un put lì, un salvataggio qua, un’uscita dal bunker là. Queste otto gare del 2018 lo stanno testando: vuoi nella concentrazione, vuoi nella resistenza, vuoi nella potenza della schiena e quindi del drive. Mentre lo swing è cambiato ancora, ma per lui non è una novità. I risultati sono anche buoni, come il secondo posto al Valspar Championship (-9) e il quinto all’Arnold Palmer Invitational (-10). Tanto da far suonare ancora una volta, magicamente, le sirene dell’eccitazione, del golf tutto, dello show businesss e persino suo. Perché un campione vive di imprese, di eccitazione, e lui più di tutti gli altri. Peccato che poi il 32° posto al Masters di Augusta non sia da Tiger, ma piuttosto da mister Woods. Sia un grave passo indietro, malgrado il quarto giro in 69 colpi. Così come, subito dopo, sia una delusione il 55° posto al Wells Fargo Championship, pur con l’impennata – e l’illusione – del terzo giro in 68.
Chissà se il Fenomeno riuscirà a gestire al meglio questa fase: la considera di transizione, di assaggio, di verifica, di naturale ripresa, l’ha accettata oppure la somatizza, a confronto con quella, trionfale, del 1997-2008? Chissà come sta reagendo, nel profondo del suo io, alla frustrazione, al disagio, alla delusione di non riuscire a tenere certi ritmi di rendimento. Chissà come vive il genio l’improvvisa sensazione della normalità, senza più riuscire a concretizzare i sogni con la semplicità disarmante, propria degli immortali. Quel tocco magico, la Tiger-mania, che paralizzava tutti, avversari compresi, e che ha accompagnato giovani e meno giovani nella ricorsa alla propria buca dei desideri.
Noi siamo fra quelli. E, dopo averlo guardato dal buco della serratura delle sue ultime apparizioni, dopo averlo visto impreciso e impoverito, spelacchiato e sorpreso da se stesso, discontinuo e frenato, vorremmo ritrovare quel mitico Tiger che, al via dell’ultimo giro, vestiva i colori di guerra rosso-neri e diventava un imbattibile pirata del green. Perché grazie a Tiger, nell’accompagnarlo nella sua favola, abbiamo visto realizzati i nostri sogni più impensabili, quelli che la vita e anche il campo da golf vietano tutti i giorni a noi comuni mortali. Mentre lui, magicamente, li rinnovava e li moltiplicava a iosa, contravvenendo a tutte le leggi. Forse siamo prigionieri di un sogno, insieme ai giovani aspiranti stregoni che l’hanno studiato al college e nei circuiti minori, imitandone la lunghezza, ma non certo la grinta da tigre.
La risposta che resta in sospeso è solo una: la risurrezione di Tiger la desideriamo più noi o lui? Perché, nel caso di Roger Federer, peraltro suo amico, e caso altrettanto unico di atleta capace di dispensare miracoli a dispetto del passaggio del tempo, il fuoco dentro il Magnifico era talmente vivo da incendiare ancora il tennis e lo sport tutto. Così, lo svizzero delle meraviglie ci ha messo un attimo a risorgere, forse proprio perché ci credeva più di tutti. Mr Eldrick Tont Woods è altrettanto convinto di poter tornare Tiger?
VINCENZO MARTUCCI