“Maradona è megli’e Pelé”. L’abbiamo cantato tutti, saltando e ballando felici, come i tifosi napoletani ai quali “el Pibe de oro” aveva regalato negli anno 80 due magici scudetti, riscattando la città sotto il profilo sportivo e soprattutto sociale ed economico, segnando molto più dei suoi gol contro i “poteri forti” del Nord. Maradona ha ragione quando, dopo anni di silenzio, boccia pubblicamente in nazionale l’erede Leo Messi, dal magico piede mancino come lui: “Inutile cercare di fare un leader con qualcuno che va in bagno venti volte prima di una partita. Non dovremmo più farne un dio. Nella nazionale è (solo) uno di più”.
Inutile girarci attorno: Dieguito un Mondiale l’ha vinto, e da protagonista, nel 1986 in Messico, segnando peraltro due gol storici nei quarti di finale contro l’odiata Inghilterra, il primo di mano, la famosa “Mano de Dios”, per beffare il portiere, il secondo dribblando mezza squadra avversaria dopo aver attraversato tutto il campo, mentre Messi ha sempre deluso, soprattutto come leader, anche se ha continuato a brillare nel Barcellona, protetto da una squadra disegnata apposta per lui. Diego valeva da solo un squadra e Leo no, Diego aveva un carisma pazzesco e Leo no, Diego è più grande di Leo.
Eppure il pensiero di Diego Maradona, che riassume ai microfoni di Fox Sports Mexico il pensiero comune su Leo Messi, bocciato all’ultimo Mondiale anche nel confronto diretto con Cristiano Ronaldo, si segnala più che altro come l’ennesima caduta di stile del grande campione. Che, da uomo comune, non è mai riuscito nemmeno ad avvicinarsi alla grandezza del calciatore. Ma, forte del suo immenso passato e dell’amore suscitato nella gente, sale sul pulpito malgrado i troppi peccati, con tanti stravizi e tantissimi problemi fisici, dalla cocaina all’evasione fiscale, da varie accuse di lesioni private al forzato riconoscimento del figlio, in una sfilza di eccessi e intemperanze, che hanno fatto tenere anche per la sua vita. Lui, nato povero che, attraverso, il talento calcistico è riuscito a raggiungere il massimo, non solo come risultati tangibili, dai soldi ai successi, ma anche, anzi, soprattutto, come mito ed eroe dello sport, paladino di valori popolari, simbolo di un riscatto sociale sognato dai più.
L’uomo perfetto non esiste, e sicuramente Maradona non lo è, fors’anche perché, come tutti i geni, è stato davvero troppo grande in una parte di sé per non creare dei forti sbilanciamenti in altre sezioni del suo io. Che, come quello di tutti i numeri uno, è necessariamente smisurato, e quindi è anche estremamente geloso ed egoista. Figurarsi se si parla del ruolo di più bravo, importante e famoso, calciatore dell’Argentina di sempre. Per cui non ci stupiamo di questa, ennesima, caduta di stile, anche se riguarda una persona semplice, dolce e corretta come Leo Messi. Che è cresciuto idolatrando proprio Diego, sognando di emularlo, ed è sempre rimasto rispettosamente nella sua ombra. Per cui starà soffrendo e soffrirà in futuro ancora moltissimo per quest’uscita del suo dio.
E’ dura. Magari questa lezione gli servirà per trovare dentro di sé un po’ di quella rabbia agonistica che gli manca. O che comunque non mostra compiutamente, come invece faceva Maradona. Coraggio, non è il primo dei “figli” di Diego a rimanere ferito da suo “padre”. Ricordiamo benissimo come ci rimase Potito Starace quando il suo idolo lo ingiuriò durante una partita di tennis nel 2008 a Buenos Aires mentre l’azzurro giocava contro David Nalbandian. Il campano accettò infine l’offerta del giudice di sedia che gli suggeriva di fare allontanare dagli spalti l’ingombrante tifoso: “Sono rimasto delusissimo dal suo comportamento: ho provato un’amarezza allucinante, pazzesca”.
Terribili questi campioni. E mostruosi. In tutto.