A Natale ognuno scrive la sua letterina a Babbo Natale, non come quella auspicata da Salvini, ma quella in cui si esprimono desideri per l’anno che viene. Non voglio sottrarmi a questa tradizione, ma non è mia intenzione inviarla fino in Finlandia dove al Circolo Polare Artico, in Lapponia, vicino a Rovaniemi, si dice che ci sia un Ufficio Postale che riceve tutte le letterine. No, io la indirizzo più vicino: precisamente ai miei amici Giovanni Malagò e Carlo Mornati. Ho solo il dubbio, se inviarla al CONI o all’indirizzo del Circolo Aniene, che tra l’altro per me sarebbe più semplice perché, avendo il Tevere vicino casa, mi basterebbe metterla in una bottiglia per essere sicuro che la ricevano integra. Superati i preliminari, la letterina vorrebbe ricordare loro che fra 20 mesi ci sono i Giochi Olimpici di Tokyo. Ma di fatto, per moltissime discipline, non saranno 20 mesi, ma molto di meno perché le qualificazioni ai Giochi si giocano tutte nei prossimi 10, e la preparazione per l’avvenimento vero e proprio poco più in la.
Perché voglio scrivere la letterina? Perché ho la sensazione che due avvenimenti stanno distraendo in maniera monumentale l’attenzione del CONI e delle Federazioni da quello che è il loro obbiettivo primario: i Giochi Olimpici. Il primo avvenimento è relativo alla riforma firmata dal Sottosegretario Giorgetti, e sostenuta dal Governo giallo-verde. Mancando da anni al CONI un segugio come Ernesto Sciommeri, frequentatore, biglietti dello stadio alla mano, dei vari Transatlantici parlamentari; o di giornalisti come Gianni Bondini, che “ignorando di essere sul punto di realizzare di lì a poco il miglior colpo giornalistico di una carriera professionale vissuta in servizio permanente effettivo, s’imbatté in una cartellina incautamente lasciata in giro” su qualche tavolo del Collegio Romano, sede del Ministero della Cultura retto allora da Walter Veltroni. “Cartellina che annunciava l’esistenza di uno schema di decreto legislativo che sotto l’etichetta di Ministero delle attività culturali prevedeva rivoluzionarie competenze sportive con l’enunciazione di piani triennali e l’istituzione di dipartimenti affidati a dirigenti nominati con durata quadriennale, durata quindi addirittura superiore al quadriennio assegnato ai Presidenti Federali” (cfr. Augusto Frasca nel suo recente “Qualche pagina per gli amici”).
La mancata riforma Veltroni
Ma soprattutto, al panorama mancano giornalisti dello spessore di Candido Cannavò (a cui mi lega la data del compleanno e non solo), che il giorno dopo l’excursus di Bondini in Via del Collegio Romano scriveva nel suo editoriale: “Ormai, caro Veltroni, siamo maestri della materia. Abbiamo una trentennale esperienza di disegni di legge o decreti con i quali la politica ha tentato di inserire nella gestione dello sport il suo peggio, la sua sterilità, la sua lottizzazione, il clientelismo … Le chiediamo chiarezza, signor ministro, perché tra quelle righe equivoche è ricomparso il Carrozzone, antica sciagura nazionale”. (sempre Frasca nel suo libello per gli amici).
Chi non ricorda, vuole sapere come finì quella storia? Finì che il buon Bondini, in barba alla sua fede politica, “analizzò in maniera implacabile punto per punto l’imbarazzante bozza ministeriale. Troppo plateale, la scoperta, per non necessitare di una risposta adeguata. Passarono 2 giorni prima che Veltroni si facesse vivo. Per una spiegazione accettabile fu infatti necessario arrampicarsi sugli specchi. Ma sparirono bozze e dipartimenti con nomi e cognomi, e il modello italiano dello Sport fu per l’ennesima volta dai tempi di Onesti elevato a bene da conservare per la salute del prossimo”. (sempre da Frasca).
Di recente Gianni Bondini, commentandomi quella storia di 20 anni fa, mi ha scritto: “Non trafugati nulla, lessi il documento al contrario perché Veltroni, chiamato da Prodi, uscì da via del Collegio Romano, lasciando il documento della riforma CONI aperto sul tavolo ed io ero davanti. Probabilmente pensava di potersi fidare – ero stato collaboratore politico della stampa e propaganda del PCI –, ma non fece i conti che io interpretavo quel mestiere per rendere conto a chi comprava il giornale e per avere notizie sul suo presente e sul suo futuro”.
Invece il nostro Malagò viene informato – come lui stesso ha raccontato – alle 11 di sera, come dire a fatto compiuto. Ripeto, sono passati 20 anni da allora, ma la differenza è tutta qui, in questa storiella. Dopo 20 anni, in considerazione del tempo trascorso e della rivoluzione politica in atto, forse era necessario traversare il Tevere ed avere il coraggio di fare delle proposte più consone al momento ed alla necessità, come dire che lo Stato si occupasse di quelle attività di base che ha per troppo tempo ignorato. Invece il nostro eroe è ancora eretto da Perfetto Araldo, come si dice qui dalle parti di Siena prendendo lo spunto dal Palio, o a cazzoimperio, come si dice a Roma (in italiano, pinzimonio).
Non tutto passa da Milano
L’altro rischio di dimenticarsi dei Giochi Olimpici di Tokyo 2020 è la candidatura ai Giochi Olimpici Invernali del 2026. Candidatura che vedrà esposto il CONI e il suo presidente in prima persona almeno fino a giugno 2019, anche come scudo protettivo nei confronti della riforma. La strada pare in discesa, vista la inesistente concorrenza, ma la salita comincerà dopo l’assegnazione. Il risveglio potrebbe essere più traumatico di quanto si pensi oggi, trattandosi – come SportOlimpico ha scritto da tempo – di una candidatura strampalata e disseminata sul territorio per 700 e più km, senza un piano di mobilità professionale e con un bilancio notevolmente sottostimato.
Dovranno essere moltiplicati per 3 o 4 volte i 340 milioni stimati dal CONI. E soprattutto ci vorrà molta professionalità che, per quanto riguarda Milano, esiste. Dimentichiamoci poi di quell’elementare e vergognoso logo fatto “in house” che è un’offesa al fatto che Milano e il Nord Italia sono la patria dei migliori grafici/designer del mondo. Lo ha ben capito Malagò quando ha immediatamente comunicato che il “vero” logo per i Giochi sarà scelto con concorso pubblico.
Eppure – nonostante la vox clamantis in deserto del presidente più decorato della storia, vale a dire Giorgio Scarso della Scherma – i presupposti per concentrarsi sui Giochi di Tokyo ci sarebbero tutti. L’assegnazione in fotocopia dei contributi alle Federazioni, purtroppo classificati solo “per attività sportiva”, io li avrei assegnati per due anni, cioè anche per il 2020 tenendo a mente che la preparazione per i Giochi finisce a giugno del 2020. In Gran Bretagna UK Sport li assegna su base quadriennale. Provocazione rispetto alla riforma? Certo, ma avrei proprio voluto vedere chi li avrebbe modificati.
E poi perché per “attività sportiva” e non per Preparazione Olimpica (in maiuscolo)? Molti interpretano la dizione “attività sportiva” at large, includendo anche i Giochi del 2028 a Los Angeles. Io spero che Carlo Mornati e la sua squadra siano severi nel controllo dell’utilizzo di questi fondi, vigilando sul rispetto dei programmi. In materia avrei tanto cose da dire e suggerimenti da dare – così come li ho dati a Mornati il 27 febbraio del 2013, appena nominato a quello che era stato il mio ruolo, immediatamente da lui accettati e condivisi – ma non vorrei sembrare un nostalgico. In un momento in cui si parla o si straparla di “fascismo” sarebbe pericoloso.
Il possibile soccorso della RAI
Ma ora, anzi da pochi giorni, c’è un nuovo fatto che potrebbe dare una spinta alla preparazione dei nostri atleti per i Giochi di Tokyo e, ovviamente, anche per quelli Invernali di Pechino. Mi riferisco alla nomina del nuovo Direttore della Testata Giornalistica Sportiva della RAI: vale a dire Auro Bulbarelli. Non lo conosco se non per le sue telecronache del ciclismo di qualche anno fa. Spero che da Milano si trasferisca a Roma dismettendo la sua casacca Leghista ed anche … i tubolari delle biciclette sulle spalle.
Cosa voglio dire? Spero che interpreti – dopo tre anni di oscurantismo – il suo ruolo di responsabile della testata sportiva della televisione pubblica, per cui tutti paghiamo il canone, in maniera diversa da quanto avvenuto fino ad oggi. Più volte ho scritto come al fine di vincere una medaglia la motivazione sia essenziale e fondamentale. Certo bisogna allenarsi bene, certo bisogna essere puliti, certo bisogna essere assistiti, ma il quid in più nasce dalle “frattaglie interiori” che fanno scattare quel qualcosa in più necessario per essere vincenti (ed essere vincenti non significa solo salire su podio).
Personalmente sono SKY dipendente. Per i seguenti motivi: SKY può permettersi, grazie ai tanti canali di cui ispone, un’offerta sportiva più ampia, e perché, come spesso accade, i privati sono più bravi del pubblico, e infine perché Giovanni Bruno rimane a mio giudizio il miglior direttore di televisione sportiva, secondo solo a Gilberto Evangelisti. SKY possiede solo alcuni diritti sportivi: Calcio di Serie A e B, Calcio straniero, Formula 1, Moto, Golf, Tennis (in parte), il basket della NBA e qualcosa di italiano, qualcosa di Atletica, come la Diamond League, e poco altro. Ma questi diritti li sfrutta non solo nelle dirette, ma in tutta una serie di trasmissioni e servizi che durante l’anno accompagnano e supportano le dirette. Il loro palinsesto è di continuo supporto alle loro esclusive. Hanno il vantaggio di poter utilizzare dei giornalisti in house ma soprattutto una pletora di bravi commentatori free-lance, quasi tutti ex-campioni o comunque voci rispettate di quegli sport. Mi dispiace dirlo, ma persino il canale d’informazione di SKY (Sky Sport News, quello visibile sul canale 200) è più rispettoso degli altri sport, anche di quelli di cui SKY non ha diritti, che il parallelo canale news sportivo della RAI.
Alla RAI, pur avendo i diritti di calcio della sola Nazionale, si da in ogni momento precedenza al calcio di casa nostra invece che di altre discipline sportive di cui si posseggono diritti nazionali e internazionali, grazie ai contratti dell’Eurovisione. Mi spiego ancora: non è sufficiente trasmettere le manifestazioni di Nuoto e di Atletica, ma anche di Ginnastica, Canottaggio, Sci, Pattinaggio, Scherma, ecc. solo perché se ne hanno i diritti. Bisogna “parlarne” tutto l’anno con servizi, interviste, documentari, registrazioni del passato e quanto altro. Purtroppo fa più notizia lo strappo muscolare di un giocatore di Serie A, non Ronaldo, ma spesso il signor Cacini, che la preparazione dei futuri campioni Olimpici o Mondiali od Europei. Il grande obiettivo di un giornalista RAI è di commentare il calcio ad ogni livello, cercano di scopiazzare SKY, e ora anche Mediaset che ha acquisito alcuni diritti internazionali. Ma lo fanno male.
E sapete perché? Perché non è possibile diventare bravi se non si ha la possibilità di fare tante ore davanti alle immagini ed al microfono. È come se un atleta, invece di fare una serie di gare di preparazione, facesse solo la finale olimpica o mondiale. E poi il calcio lo possono fare tutti, gli altri sport sono molto più difficili. Alcuni anni fa la RAI aveva due canali sportivi, il 57 e 58. Poi, senza alcuna spiegazione plausibile, se non quella che obbligava a maggior lavoro, è rimasto il solo 58. Eppure quante belle cose si potrebbero trasmettere! L’altro giorno il 58, dovendo trasmettere la sera su RAI 1 – per concessione, penso, a pagamento di SKY – la partita di Champions League Inter vs Tottenham, ha trasmesso nel pomeriggio Tottenham vs Chelsea. Giusto giornalisticamente, ma di una partita che si è giocata tre giorni prima e di cui tutti sanno il risultato, è ridicolo mandare tutta la partita, con un commento a freddo, quindi senza il pathos della diretta. Non sarebbe stato meglio fare una sintesi di 30’, più spettacolare e più utile a promuovere la partita della sera?
La RAI ha fior di professionisti, vorrei citarli tutti (ho fatto una “ripassata” dei nomi su Internet), molti li conosco, ma per lo più stanno in panchina e non vengono utilizzate le loro indiscusse capacità, spesso neanche nelle dirette, vietando persino ai vice di andare in voce. Vogliamo parlare del Televideo della RAI? Che essendo gestito dai RAI News, e non dalla Redazione Sportiva, offre errori e mancanze macroscopiche, ignorando persino, e molto spesso, le notizie di avvenimento che la RAI stessa comunque trasmette.
Ciò detto, torno al punto. La RAI è fondamentale per la Preparazione Olimpica (ancora maiuscolo). Ma il CONI e le Federazioni devono essere attivi ed anche aggressivi. Non possono allarmarsi solo quando c’è il rischio che qualche trasmissione sportiva non vada in onda. C’è molto di più, come ho indicato sopra. La prima cosa che il CONI deve ottenere è che sia chiarito al più presto chi possiede i diritti dei Giochi. Come noto, essi sono in mano a Discovery che via Eurosport li trasmette sul satellite in Italia. Ma Discovery ha l’obbligo, in base al contratto con il CIO, di concedere 200 ore di diretta per i Giochi Estivi e 100 per quelli Invernali ad un Rete che trasmetta sul digitale terrestre. Quindi o RAI o Mediaset, o anche SKY se avesse dei canali abilitati al free-on-the-air. Ma questo deve essere chiarito al più presto, non solo per un fatto organizzativo (la RAI per Londra 2012 e Pyongyang 2016, essendo arrivata buon ultima, si è trovata senza postazioni cronaca e senza postazioni interviste), ma soprattutto perché possedere tali diritti, al costo attuale, si giustificano solo se vengono sfruttati prima come promozione e non solo per le dirette.
Ci tengo infine, a questo proposito, a ripetere che i risultati d’ascolto registrati quest’anno dalla Pallavolo, maschile e femminile, degli Europei di Atletica e di Nuoto, giustificano oggi il posizionamento di questi sport sulle reti generaliste. RAI 2 ha fatto quest’anno delle belle scelte, moltiplicando di molto i suoi ascolti. Speriamo che la nuova direzione non se ne dimentichi e, soprattutto, auguriamoci che CONI e Federazioni facciano sentire la loro voce e che le ferite del momento non ci facciano diventare l’anatra zoppa della situazione. Noi continueremo a vigilare e a scrivere.
Luciano Barra
*articolo ripreso da www.sportolimpico.it