Arbitri pesantemente contestati, ingiuriati, minacciati, o addirittura malmenati e picchiati. Che vergogna, che brutti esempi per i nostri figli, che piaga della società, che modo assurdo di sfogare le proprie frustrazioni! Di settimana in settimana, di anno in anno, ci portiamo dietro ragionamenti a go-go sull’argomento, salvo poi ritrovarcelo di fronte continuamente, senza trovare la risposta definitiva. Perché noi esseri umani siamo sbagliati e fallaci, perché ci ribelliamo per natura al giudice in generale, perché, in realtà, siamo tifosi e non sportivi, perché non capiamo l’essenza dello sport e cerchiamo una scusa alla sconfitta, perché non sappiamo controllarci. Perché, perché… Tutti questi concetti racchiudono un pizzico di verità, e sicuramente è sbagliato usare qualsiasi forma di violenza verso l’arbitro. Che svolge una funzione di per sé né facile né simpatica, tanto da registrare un impressionante calo di vocazione. Ma, c’è un “ma”, ed è il solito “ma” gigantesco che spunta fuori nel passaggio dalla teoria alla pratica, cioè dalle regole alla vita, dai principi alla realtà. Un “ma” che non è clamoroso come quello del ricorso e dell’utilizzo del Var come succede nel mastodontico calcio. Un “ma” che sconvolge la realtà dello sport dilettantistico giovanile e l’educazione, sportiva ed umana, dei nostri figli.
Metti che parliamo di under 15, di ragazzini vispi ancora da formare sotto tutti gli aspetti, seguaci della velocissima realtà virtuale di giochi e giochini web, incapaci di mantenere l’attenzione per periodi lunghi, condannati quindi a perdere intensità con l’andare del tempo, fino a registrare consueti crolli nel momento topico delle partite del loro campionato di basket (di area milanese). Metti che parliamo di un progetto portato avanti tutti i giorni con impegno, fatica, difficoltà, dedizione, nel segno del volontariato più o meno assoluto, così come peraltro per tutte le realtà minori, parallele. Metti che, ancor prima del via, esistano già delle tensioni perché, nel precedente incontro della giacchetta grigia in questione, l’allenatore di casa sia stato espulso per proteste. Cioé: aveva protestato qualcun altro in panchina ed era stato espulso lui. Ingiustamente, però. In barba al regolamento. Come, a fine partita, la vice allenatrice – ex professionista che ha anche vinto il massimo scudetto tricolore – vorrebbe tanto dimostrare, cortese e precisa, carte alla mano, al direttore di gara. Senza ottenere in cambio né uno sguardo, né la stretta di mano richiesta, né un grazie per aver fornito un’informazione che gli potesse evitare un eventuale, futuro, errore.
Metti che l’arbitro in questione, sin dal fischio d’inizio, si dimostri costantemente incerto, che guardi sistematicamente il tavolo delle segnalazioni in cerca di conferma, per le rimesse laterali come per i tiri liberi da una volta raggiunto il bonus (che pure si vede benissimo sul tabellone elettronico). Metti che dialoghi spesso, soprattutto con l’allenatore ospite, spiegando e rispiegando le sue decisioni a fronte di tante perplessità, nemmeno fosse a un corso pre-campionato. Metti che fischi poco o nulla, senza un metro di giudizio, sbagliando più che mai, consentendo che il gioco diventi sempre più duro e pericoloso per tutti i giovani protagonisti. Metti che, così facendo, favorisca, obbligatoriamente la formazione più debole, e illuda la sua tifoseria (cioè genitori e parenti in tribuna). Scatenando la reazione – negativa, ma inevitabile -, dei ragazzi di casa che, scottati dalla precedente esperienza con l’arbitro in questione, da cui avevano atteso inutilmente “giustizia”, decidano di usare anche loro le materie forti.
Metti che alcuni clamorosi falli subiti da giocatori lanciati in contropiede siano talmente plateali da far urlare di sdegno e di protesta alcuni genitori delle squadra ospite, quelli che più di altri hanno visto partite di basket e magari ne hanno anche scritto, da giornalisti professionisti. Metti che l’arbitro riesca a fischiare un fallo tecnico a un giocatore di casa che subisce, in contemporanea due falli, cadendo anche in terra. Metti che subito dopo il protagonista vero della partita si superi, quando, per punire il giocatore ospite che, per stizza, calcia la palla verso una vetrata, commini un fallo tecnico – novello Salomone – anche al giocatore di casa. Metti che commini un terzo tecnico alla squadra di casa a uno dei giocatori più dolci e corretti, colpevole di avergli detto, a bassa voce, alzando comunque la mano per assumersi la responsabilità di un fallo immaginario: “Perché?”. Metti che l’arbitro non batta ciglio al dito medio mostrato platealmente, in piena faccia, da un giocatore ospite a un ragazzo di casa, e non intervenga nemmeno quando l’allenatore ospite urla: “Fai rispettare la linea!” al giocatore che sta tirando i tiri liberi. Aiutandolo nell’errore.
Tranquilli. Stavolta, è andata bene. Malgrado i maldestri tentativi dell’arbitro, malgrado il caos totale di un quarto quarto di gara che è diventato assolutamente inguardabile, malgrado la tensione che accompagnava ogni momento della partita, malgrado l’incertezza legata ad ogni fischio del direttore di gara, malgrado i tentativi dei tifosi ospiti di approfittarsi di quel caos infischiandosene delle lezioni di vita che ne scaturirebbero, la squadra chiaramente più forte, la Pallacanestro Milano 1958, ha vinto, e largamente, contro la Nervianese 1919. E, cosa più importante, nessuno dei ragazzi in campo si è fatto male.
Sia chiaro a tutti, lo ribadiamo oggi e sempre: l’arbitro non va assolutamente ingiuriato o minacciato, e mai e poi mai, va addirittura, anche solo toccato. Ma il signor Raffaele Mancuso di questo incontro qualsiasi di ragazzi da educare al basket e alla vita non merita un po’ di attenzione da parte degli organi federali? Solo un po’ di attenzione. Grazie.