Gli arbitri, per ora, non parlano ufficialmente di Var. Lo faranno prima della fine del campionato, quando avranno rivisto le procedure e le avranno confrontate con Uefa e Fifa per garantirne una validità internazionale. La chiarezza ha la priorità. Anche se i temi in discussione si accavallano di partita in partita, così come le domande. Ma siamo sicuri che tutti gli arbitri vogliano davvero il Var? La risposta sarebbe positiva e arriverebbe in due secondi, senza esitazioni.
Magari c’è chi vorrebbe correre ancora di più e chi invece meno, ma tutti gli arbitri si portano dietro quei cinque errori clamorosi e sanno che, con questa tecnologia, non avrebbero commesso. Eppoi, non si può fermare il progresso e tornare indietro. Il Var sta anche migliorando la cultura sportiva, come si vede quando è in azione e, in campo come in tribuna, si attende e non si protesta.
Eppure, l’uomo della strada, il tifoso, per non parlare dell’addetto ai lavori (calciatore, allenatore, dirigente), continua a chiedersi perplesso se davvero le immagini dubbie vengano davvero esaminate tutte, o solo a discrezione dei misteriosi personaggi, arbitro Var e operatori tecnici, che operano nella stanzetta apposita, lassù, in alto, nello stadio. Leggiamo le carte ufficiali: nel campionato passato sono stati effettuati poco meno di 4000 controlli su quasi 400 partite, significa circa 10 a partita, cioè in tutte, ma proprio tutte le situazioni previste dal protocollo, in area di rigore, di possibile fuorigioco e di espulsioni dirette.
L’appassionato, ma anche qualche allenatore, protesta perché, con tutti questi Var, più i falli, più i gol, le rimesse, il gioco è sempre più spezzettato: forse sarebbe il caso di inserire il tempo effettivo come nel basket, magari con due frazioni di 30 minuti. Ma l’Italia non è sola. Ci sono paesi come Svezia, Norvegia, Giappone, dove il rispetto di certe cose sono diverse dal nostro. E ce n‘è un altro, l’Inghilterra, dove lo sport è visto anche come pressione mentale, in quei fatidici momenti di particolare pressione di una squadra per mettere in difficoltà l’altra, un concetto che verrebbe a perdersi con il tempo reale di gioco. Insomma, magari più avanti ci arriveremo, ma oggi ancora non se ne parla.
E la vicinanza al basket rimane legata al Var. Invece i margini maggiori di miglioramento possono essere tra l’affiatamento fra arbitro in campo e arbitro Var, perché spesso la mancanza di sintonia si nota, eccome. Perché succede? L’equilibrio è sempre il risultato più difficile da raggiungere, il problema vero è semplicemente la professionalità, e quindi la capacità di trovare la misura giusta di questa tecnologia che è stata varata poco tempo fa. Qualcuno va a 50 all’ora, qualcuno a 200: quanto ci abbiamo messo per trovare la velocità giusta, in autostrada, e accordarci sui 130? Facendo qualche errore, si troverà il limite esatto anche per gestire questa comunicazione fra arbitro e Var.
Gli arbitri sono sempre in discussione. Il nemico peggior non può essere il solito giornalista. Il vero nemico sono i diversi messaggi che mistificano la realtà nei post partita, dando ad arte interpretazioni sbagliate. La malizia nelle varie spiegazioni degli opinionisti crea una grave confusione al tifoso che non sa più chi ascoltare. Come quando si vorrebbe sostenere che un certo errore fa giurisprudenza: invece un errore è un errore, e basta. La volta successiva il tifoso non deve far riferimento a quel precedente (sbagliato), paragonandolo a quello fatto correttamente.
E magari i tanto vituperati italiani, così come sono arrivati primi nella Var arriveranno primi anche in altre interpretazioni della famoso protocollo Var, oppure già ci siamo fatti sorpassare da altri paesi? Spagna e Portogallo, che sono partiti dopo di noi, dispongono oggi di un Var tecnologicamente all’avanguardia con il Match Center. Anche in Olanda partita, con la sola Coppa prima di noi, tecnologicamente si è evoluta velocemente, bisognerà sfruttare le possibilità di sviluppo della macchina per magari avere 3-4 Var come ai Mondiali.
Ecco, del Var gli arbitri direbbero questo, se potessero parlare.